Pietro Maso: la freddezza agghiacciante di un assassino

Uno degli omicidi più terrificanti della storia del nostro paese, a causa della sua freddezza e dello stretto legame fra vittime e carnefice.

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Pietro Maso (web image)

Gli anni di piombo sono ormai finiti. Al governo c’è Andreotti e il partito comunista si è sciolto e al suo posto è nato il Partito Democratico della Sinistra. In Sudafrica, con l’abolizione delle ultime legge razziali, finisce l’Apartheid. Ed esattamente una settimana dopo l’incendio del traghetto Moby Prince, al largo del porto di Livorno, che ha causato la morte di 140 persone, la vita di un’intera famiglia sta per cambiare.

Maria Rosa e Antonio Maso vivono da sempre a Montecchia. Si sono sposati giovani e mai separati. Antonio ha 55 anni, coltiva la sua terra (3 ettari di vigne e ciliegi). Maria Rosa invece ha 48 anni. Si occupa della casa, del giardino e dei 3 figli: Nadia, 27 anni, Laura, 26, e Pietro, 19.

La sera di mercoledì 17 aprile del 1991, Maria Rosa e Antonio Maso si recano a Lonigo per andare a messa. Prima però, accompagnano Pietro al bar John dove si sarebbe visto con i suoi amici. Una volta finita la messa, nel tragitto di ritorno a casa, ripassano per il bar per vedere se al figlio occorresse un passaggio, ma Pietro non è lì. Non si preoccupano, si sarà spostato con gli amici da qualche altra parte. Così tornano a casa tranquilli. Pietro rientra verso le 2 del mattino. Pochi minuti dopo corre a casa dei vicini e quando finalmente gli aprono la porta, grida sconvolto “ho visto due gambe, due gambe per terra”. Il suo vicino, allora, decide di entrare in casa al posto del ragazzo per vedere che cosa sta succedendo. Quello che si trova davanti è una scena che gli rimarrà impressa nella memoria per sempre. Vengono immediatamente allertati i Carabinieri che nel giro di poco tempo giungono sul luogo del delitto. Il corpo di Antonio giace sul pavimento all’ingresso della cucina, poco dopo, si trova la moglie. Per terra, in cucina, c’è anche una maschera da diavolo. Sembra una di quelle maschere che si usano a Carnevale. Alle 4 del mattino Pietro viene interrogato dalla polizia e poi, anche i suoi amici, per confermare la sua versione.

Nella casa non ci sono segni di effrazione, non sono stati rubati oggetti di valore e non c’è nessuna prova che porti all’ipotesi di una rapina finita male. Inoltre le lampadine sono state leggermente svitate, proprio come per simulare un blackout. E allora che cosa è successo? Chi ha ucciso i coniugi era in casa e li stava aspettando. Era preparato. Pianificato. Era il loro figlio.

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Pietro Maso (web image)

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Pietro confessa tutto. È stato veramente lui a uccidere i suoi genitori. E non era da solo. Ai Carabinieri, durante la confessione, fa il nome di Giorgio, Paolo e Damiano. Giorgio è un ragazzo timido, che Pietro ha condizionato portandolo sulla cattiva strada. Gli si è mostrato come “guida” per imboccare la via della trasgressione. Dice di averlo reso “qualcuno” agli occhi degli altri, perché prima del suo arrivo, non era nessuno. Paolo è stato un compagno di scuola di Pietro. Mentre Damiano era ancora un ragazzino minorenne quando è successo il tutto. Ma da questa confessione emerge qualcosa di ancora più sconvolgente. I Carabinieri fanno fatica a credere alle sue parole. Sono sconvolti dalla parvenza di normalità che riesce a donargli: Pietro e i suoi amici hanno già provato, in passato, a uccidere i coniugi Maso. Hanno passato almeno 3 mesi di pianificazione per mettere in atto il piano. Pietro e Giorgio erano addirittura andati a Vicenza per cercare qualcuno che volesse compiere il gesto al posto loro. In poche parole, le menti erano in cerca del braccio. Non avendolo trovato, hanno deciso di cambiare piano. All’inizio l’idea era quella di avvelenarli con del veleno per topi ma poi hanno cambiato idea perché temevano che qualcuno avrebbe potuto sentirne l’odore. Così domenica 3 marzo del 1991 Pietro aveva deciso di organizzare un pranzo di famiglia. Sembrava a tutti un bel gesto, fatto per passare un po’ di tempo tutti insieme con anche i cognati. E invece Pietro voleva farli saltare tutti in aria. Aveva piazzato delle bombole di gas e tappato il camino con dei vestiti. Inoltre, aveva sistemato delle luci da discoteca, quelle che si accendono da sole al minimo rumore. Aveva anche messo una sveglia alle 12, in questo modo il suono avrebbe dovuto attivare le luci e la scintilla infiammare l’aria che a quel punto avrebbe dovuto essere satura di gas. Ma il piano non ha funzionato. No, perché Pietro non ha aperto le valvole delle bombole. “Invece della casa, all’ultimo ho fatto saltare il piano” dice durante l’interrogatorio. Non ha avuto il coraggio. Non ce l’ha fatta. C’era qualcosa, qualcosa di buono, che lo ha fermato, che gliel’ha impedito. Ai suoi amici, invece, ha raccontato che non sarebbe stato il momento giusto perché quella domenica, suo padre non sarebbe stato a casa.

Ad un certo punto però il tempo si è fatto stretto. A febbraio Giorgio era riuscito ad ottenere un prestito di 23milioni di lire dalla cassa di risparmio di Verona per comprarsi la macchina che ogni ragazzo del posto avrebbe sognato di avere ma che nessuno avrebbe potuto permettersi: una Lancia delta a trazione integrale. Il padre di Giorgio però non voleva che il ragazzo se la comprasse. Diceva che era troppo per lui. Troppo lussuosa, troppo pesante, troppo. Ed era assolutamente irremovibile. Pietro però aveva convinto l’amico a non restituire i soldi. Anche se non poteva prendersi la macchina, non avevano mai avuto a disposizione una cifra di denaro così grande. Così hanno iniziato a vivere, anche se per poco, una vita agiata. Una vita fatta di abiti firmati e nottate nei locali, lusso, droga. E nel giro di un mese sono riusciti a sperperare tutti e 23 i milioni di lire. Ad un certo punto, però, è arrivato il momento in cui Giorgio avrebbe pur dovuto restituire i soldi alla banca. Così Pietro, per aiutare l’amico, decide di falsificare un assegno della madre e di darlo a Giorgio che senza essersi fatto alcun tipo di problema è andato a ritirare i soldi e a ripagare il suo debito con la banca di Verona. A questo punto però sarebbe solamente stata questione di tempo prima che la madre di Pietro sarebbe riuscita a scoprire il tutto. E sicuramente non l’avrebbe presa molto bene. Per questo, ma non solo, dovevano agire in fretta.

Pietro Maso e il terribile omicidio, che cosa è successo?

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(Free-Photos da Pixabay)

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Ecco che arriviamo al giorno dell’omicidio. Quella sera alle 21.30 i 4 amici entrano in casa Maso. Pietro è molto nervoso ma dice “o stasera o niente”. I ragazzi si mettono delle tute da lavoro e Giorgio e Paolo, anche delle maschere. Pietro non la vuole, lui vuole vederci bene. Impugna una spranga. Svitano le lampadine dell’ingresso e della cucina, poi si appostano nel buio e aspettano. Poco dopo le 23 Antonio entra in casa. Il primo a colpire: Pietro. Poi è la volta di Maria Rosa a cui Pietro dà il colpo finale con la stessa spranga con cui ha ucciso il padre. In totale i coniugi Maso hanno vissuto un’agonia di 53 minuti. 53 lunghissimi minuti.

Dopo aver ripreso tutto ciò che gli apparteneva e dopo aver rovesciato i cassetti per simulare una rapina, Pietro accompagna Paolo a casa, poi, lui, Giogio, e Damiano vanno in discoteca. Non li fanno entrare ma a loro non interessa. Gli serve solo un albi per dire che erano li quella notte e non a uccidere i suoi genitori a Montecchia. Pietro poi, riaccompagna Damiano e Giorgio, poi si dirige verso casa sua. Ora gli manca solamente di recitare la parte del figlio sconvolto e scioccato per la morte dei genitori ed è fatta. Tutto procede esattamente come previsto.

Il piano di Pietro alla fine era quello di uccidere la sua famiglia per riuscire ad impossessarsi dell’eredità. Tutto per soldi, insomma. Aveva anche fatto molto bene i conti: 1 miliardo e mezzo in tutto. Avrebbe dato 200mila lire a testa a Paolo e a Damiano, e il resto se lo sarebbero divisi lui e Giorgio. Questo sarebbe il motivo di tanta crudeltà, di tanta malvagità. Questa la riconoscenza di un figlio verso i propri genitori. Verso chi gliel’ha data la vita.

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