Anche Yeslife era presente alla conferenza stampa di presentazione de La geografia del buio, nuovo album di Michele Bravi in uscita il 29 gennaio.
Se esiste una persona capace di far apparire la fragilità la più grande arma a disposizione dell’essere umano, quella persona è proprio Michele Bravi. Ventisei anni, il sorriso gentile, gli occhi che raccontano storie dal sapore dolce-amaro di vita vissuta. Quegli stessi occhi che – ci rivela in anteprima – apriranno ogni videoclip del suo nuovo album, La geografia del buio, in uscita a partire da 29 gennaio.
Perché tutto quello che si vede non è quello che è successo fuori dalla mia testa, ma dentro. È come io ho assorbito la realtà intorno a me durante due anni di silenzio.
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Michele Bravi, dieci tracce per “una grande dichiarazione d’amore”
“Il dolore non ha senso”. Con queste parole, Michele Bravi ci apre uno spiraglio nel suo mondo, all’inizio di una conferenza stampa che ha la parvenza di una chiacchierata a cuore aperto con un vecchio amico. Una conferenza nella quale ci racconta la genesi del suo album, nato dalla solitudine, dall’isolamento fisico e mentale nel quale ha vissuto per due anni, a seguito di un evento traumatico che ha scosso la sua vita dalle fondamenta. Quando si vive un’esperienza del genere – ci racconta – la prima domanda che affiora alla mente è “Perché? Perché a me? Che significato ha questo dolore?”.
Le cose iniziano a cambiare quando capisci che il dolore non ha un senso. L’unica forza propulsiva sta proprio nella condivisione del dolore. Io ho potuto capire il mio dolore, ho potuto decifrarlo solo quando un’altra persona – che è la persona a cui ho dedicato tutto il disco – ha condiviso il suo dolore con il mio. Tutta la nostra storia È dentro questo disco, in particolare in “mantieni il bacio”.
Michele ci parla dell’amore che ha ricevuto e delle presenze silenziose che ha avuto accanto durante il periodo più difficile della sua vita. Ci parla di Chiara Galiazzo, che gli ha “prestato” la voce in alcune tracce dell’album, e di Fedez e Chiara Ferragni, amici sinceri capaci di tenderti la mano senza pretendere niente in cambio. Ci parla di Fiorello, che per primo lo ha accolto in televisione dopo due anni di lungo silenzio e poi ci parla di un ragazzo, che è l’anima stessa dell’album. “Questo disco – ci racconta – è la dichiarazione d’amore più grande che abbia mai scritto ed interpretato”.
Quando parlo di questo progetto, inizio sempre dal “dolore”, ma la seconda parola del disco in realtà è “amore”. Con la persona a cui è dedicato ho avuto la fortuna di imparare quanto sia importante la libertà di amare. In precedenza, quando parlavo della mia sessualità, non ero mai reticente, ma avevo una sorta di atteggiamento “rivoluzionario” per cui per me la parità stava nel “non dire”. Adesso penso che sarebbe bellissimo, sarebbe perfetto nell’utopia, ma la verità è che c’è ancora tanto bisogno di parlare, di condividere.
Poi ci racconta che La geografia del buio nasce da una promessa fatta a questo ragazzo: la promessa di restituire, tramite la musica, quell’amore e quella vicinanza ricevuti nel corso degli ultimi due anni.
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La geografia del buio, genesi di un’opera “vissuta”
Queste dieci canzoni dovevano suonare come un corpo vivo, un corpo che respirava e si muoveva, che aveva tutte le imperfezioni proprie di un corpo.
L’intero lavoro di produzione de La geografia del buio è stato un “percorso di sottrazione” del superfluo ed un lungo cammino di “accettazione dell’imperfezione”. A tal proposito, Michele ci racconta che è stato utilizzato un pianoforte del primo Novecento, uno strumento carico di vita vissuta, il cui reperimento ed utilizzo si è rivelato più difficile del previsto.
Questo disco è un duetto costante tra la mia voce ed il silenzio, rappresentato dal suono del pianoforte. Mai come in questo disco ho avuto il coraggio di inserire dei momenti vuoti, che ognuno può riempire con la propria di storia. […] il silenzio, però, non è mai completo. Volevo che il corpo del disco fosse un corpo vivo e infatti nella registrazione si può sentire lo scricchiolio della sedia che sta davanti al pianoforte, il respiro di Andrea [andra manzoni, al piano] che suona, del frigorifero, del traffico.
Le tracce, registrate integralmente nel salotto di Katoo, suo produttore discografico, recano la traccia della quotidianità, tutta l’imperfezione del mondo esterno che entra in punta di piedi nei vuoti lasciati dalla voce. Non a caso l’album contiene anche una brano – l’ultimo della tracklist – interamente realizzato al pianoforte. La registrazione, avvenuta per una fortuita coincidenza nel momento in cui la sua voce “non era ancora pronta a parlare”, si compone di “suoni imprecisi” ma anche per questo estremamente autentici.
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Dolore e amore: come convivere con il primo, aprendosi al secondo
Dolore ed amore rappresentano le due colonne portarti de La geografia del buio. “Non esiste un giorno in cui senti che quella storia è finita – ci racconta Michele -, un giorno in cui senti che il dolore è passato e da allora in poi le cose saranno diverse”. Non esiste nemmeno una persona che segna la fine di quel percorso nel buio, ma esiste “una persona che ti insegna come poter continuare ad andare avanti”. Poi, però, quel dolore va affrontato da soli ed è necessario imparare a conviverci.
La geografia del buio è il disegno di un labirinto. Racconta come si convive con il buio. Io ci tengo tantissimo a sottolineare questa cosa: non è un disco sul come si esce dal buio, su come ritrovare la luce. È un disco che non giudica il dolore, ma lo attraversa ed attraversandolo scopre un modo per conviverci, per dargli uno spazio.