Uno studio sulla morte rivela l’importanza di rivedere i tempi di accertamento e stabilire la reale certezza, ecco perché
La morte, un tema sempre troppo complesso e di impatto che affrontarlo in modo scientifico ci permette di capire meglio diversi aspetti del nostro organismo. Spesso sentiamo dire che ci sono dei casi in cui le persone “tornano in vita”.
Ma cosa succede davvero dopo la morte? Siamo sicuri che quando viene decretata sia certa? Sono alcune delle domande che si sono posti alcuni ricercatori del CHEO Research Institute di Ottawa, un ente non profit che ha studiato quasi 2 mila pazienti nel corso di quattro anni, dal 2014 al 2018 in diverse unità di terapia intensiva tra Canada, Repubblica Ceca e Paesi Bassi.
Uno studio importantissimo, di stampo internazionale, tra i più grandi che siano stati condotti fino ad ora sul processo fisiologico della morte. Tutto questo ha permesso di capire cosa succede al corpo quando ne viene decretata la morte, dando un grande contributo per stilare dei protocolli ancora più precisi e rigidi nell’accertamento dei pazienti che danno il consenso per il trapianto degli organi.
In questo caso, infatti, il fine vita è essenziale per procedere all’espianto e dare speranze per il prolungamento di una nuova vita.
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Lo studio attuato e sopra descritto ha fornito delle prove sul fatto che nel corpo umano possano esserci dei segni di vita anche dopo che ne è stata accertata la morte. Segni di attività cardiaca o respiratoria ma di carattere transitorio che, secondo lo studio, si rivela nell’un per cento dei casi analizzati.
Una reazione che anche i medici presenti hanno colto. Certo il periodo di ripresa dell’attività è veramente breve e si manifesta dopo pochissimo dalla cessazione del battito, nel giro di un minuto fino ad arrivare ad un intervallo di oltre 4 minuti.
C’è da dire che invece non ci sono stati casi in cui la circolazione sanguigna è riprese o gli stati di coscienza. Fatti importanti dicono gli studiosi di cui le famiglie devono essere al corrente ma “deve anche essere messo in chiaro che questo non implica che la persona torni in vita” ha spiegato Dhanani, il medico a capo del gruppo di ricerca.
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Lo studio permette dunque di capire e rivedere la gestione del tempo relativa all’accertamento della morte di una persona ma in particolare nei casi delle donazioni di organi.
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