Sentenza di “non luogo a procedere” per i giovani che avevano diffuso i video hard di Michela Deriu senza il suo consenso. La ragazza si era suicidata nel 2017
È stato chiuso il procedimento penale a carico di due uomini di Porto Torres, M. C., di 26 anni, e R. P., di 31. Erano accusati di istigazione al suicidio e diffamazione, a seguito della morte di Michela Deriu. La barista 22enne si era tolta la vita nel 2017, nei giorni successivi alla diffusione di suoi video hard privati.
La giudice per l’udienza preliminare Caterina Interlandi ha infatti dichiarato il “non luogo a procedere” nei confronti dei due amici della vittima. I due avevano contribuito a distribuire senza il consenso della ragazza alcuni filmati, nei quali lei era ripresa durante un rapporto sessuale. La giudice ha deciso di prosciogliere gli imputati solo in merito all’accusa di istigazione alla morte della vittima. Accusa che era stata in precedenza indicata come diretta conseguenza del reato di diffamazione.
Secondo la sentenza emessa non ci sarebbe correlazione, e quindi “il fatto non sussiste“. I due potranno però essere giudicati per l’accusa di “diffamazione aggravata”.
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La Procura di Porto Torres, incaricata del caso, aveva chiesto l’assoluzione dei due uomini, ritenendo che mancassero prove effettive che potessero collegare la diffusione dei filmati al suicidio. Per gli inquirenti infatti ci sarebbero altri elementi che fanno pensare che per la ragazza i video non fossero l’unico problema.
Michela Deriu si suicidò ormai 4 anni fa, mentre si trovava a casa di un’amica, sull’isola de La Maddalena, nel nord della Sardegna. Ma nei suoi ultimi giorni era molto inquieta, stando a quanto raccontano le testimonianze. Poco prima di compiere l’estremo gesto, la giovane aveva confessato ad alcuni suoi amici di sentirsi “minacciata e a grande disagio” per un video che stava circolando. Poi aveva denunciato una rapina, e ora le indagini si concentrano sulla sparizione della somma di 500 euro. Somma che Michela avrebbe dovuto usare per pagare una rata del ricatto, per fermare la diffusione dei video.
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Parole dure arrivano dalla sorella della vittima, Manuela Deriu, che sul suo blog “Misa”, chiarisce: “Voglio precisare che si tratterebbe di Revenge Porn a tutti gli effetti, ma la norma non è retroattiva, vale dal momento in cui è stata emanata. Quindi i reati avvenuti prima vengono trattati con la normativa vigente al momento del reato, non con quella attuale del processo, e nel nostro caso, appunto, si tratta di pura e semplice diffamazione, in pratica. Il danno oltre la beffa“.
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