A YesLife Lory Muratti, artista poliedrico, racconta del suo spoken album, della sua genesi e della sua particolarità
Producer, scrittore e regista, Lory Muratti torna con un nuovo ed originale lavoro. Si intitola “Lettere da altrove”, il suo nuovo spoken album, disponibile in formato vinile, sulle piattaforme streaming e in digital download.
Otto tracce che si ispirano alla serie video-narrativa ideata dall’artista durante il periodo di lockdown. Un’avventura musicale, letteraria e visiva con la quale Muratti racconta la convivenza di due amanti che si ritrovano inaspettatamente “imprigionati” in un ex ricovero barche su un lago del Nord Italia a causa di una misteriosa epidemia.
A YesLife ha presentato questa sua “fatica” artistica nata nel cuore del primo lockdown e ci ha raccontato cosa significa per lui, artista poliedrico, unire nell’arte mille volti e mille sfaccettature diverse.
Lory è uscito da poco il tuo album “LETTERE DA ALTROVE”, disponibile anche in vinile, raccontaci come è nato
“Lettere da Altrove” è nato come progetto rifugio in un momento in cui le vite di noi tutti sono state messe in stand-by. Al tempo del primo lockdown ero pronto a lanciare un nuovo disco e il libro a cui lo stesso era ispirato (coniugare musica e narrativa è formula spontanea in cui si declina il mio modo di intendere la creazione artistica ed è di conseguenza la via attraverso la quale presento in genere i miei lavori al pubblico). I piani improvvisamente cambiati mi hanno proiettato nel limbo della sospensione che ben conosciamo. Dopo lo smarrimento iniziale e nel bel mezzo della preoccupazione per quello che stava accadendo attorno, mi sono rimesso a scrivere e a suonare in modo febbrile dando forma a quel rifugio ideale e fisicamente rappresentato dal luogo in cui vivo e lavoro: uno “studio retreat”, ex ricovero barche affacciato sulle sponde del Lago di Monate, piccolo specchio d’acqua in provincia di Varese.
Se l’uscita del mio lavoro “ufficiale” era stata rimandata per ovvi motivi in un momento di difficile interpretazione come quello, ciò non significava che non avrei potuto rimettermi al lavoro per dare comunque un senso a quel tempo. Col passare dei giorni e con l’accumularsi di note e parole diveniva sempre più chiaro che stava accadendo qualcosa di nuovo e per me inaspettato: stavo scrivendo e suonando “senza rileggere”, stavo lavorando di pancia e di getto come mai prima in vita mia. È stato a quel punto che ho iniziato a chiedermi se non avesse senso pensare di far diventare quel momento di introspezione e isolamento una finestra aperta su una creatività in diretta. È nata così la serie audio-video-narrativa pubblicata sul web in dieci puntate nella scorsa primavera. Un esperimento di produzione e pubblicazione istantanea che, da quel momento, non si è più fermato continuando a prendere corpo fino a trasporsi nel concept album pubblicato da Riff Records di cui parliamo oggi e nella produzione video che ne ha accompagnato l’uscita.
Questo lavoro affonda le radici nelle difficoltà del primo lockdown, parole e musica ti hanno aiutato a tirare fuori le sensazioni di quei momenti?
Parole e musica sono stati strumenti essenziali per tradurre il confuso divenire interiore nel quale ci siamo trovati. Parlo al plurale poiché, la confusione che abbiamo provato, è un sentimento corale che ho incidentalmente intercettato attraverso il caos che regnava anche dentro me. La volontà di allontanarsi da un presente inaccettabile rifugiandosi in sé stessi e al contempo lasciando la porta aperta ai fantasmi della mente, a memorie lontane, al ricordo di qualcuno che, nella sua assenza, rappresenta una presenza ineludibile, sono stati i motori del mio scrivere, del mio comporre e produrre in quel tempo. Un tempo che non desideravo in alcun modo provare a rileggere da un punto di vista emergenziale o sanitario, ma solo ed esclusivamente interiore e profondamente umano. Il virus e il lockdown sono solo intuibili sullo sfondo di una narrazione che, attraverso i testi delle canzoni, ci racconta la storia di due amanti decisi ad allontanarsi dal mondo per trascorrere alcuni giorni in un ex ricovero barche affacciato su un piccolo lago del Nord Italia. Catturati dalla rassicurante immobilità delle acque decidono di staccare le connessioni e spegnere i telefoni prendendosi così una pausa da tutto. Sarà solo nel momento in cui proveranno a tornare alla realtà che scopriranno di essere imprigionati in quel luogo ben oltre la loro volontà a causa di una misteriosa epidemia. Dalla conseguente stasi emergeranno profondi confronti di natura emotiva e psicologica che porteranno i protagonisti a confrontarsi davvero con loro stessi, con le loro paure e i loro fantasmi guidando così anche l’auditore a chiedersi chi o quale parte di loro due e di sé stesso sia infine reale.
Un viaggio che tu hai fatto da fermo vero?
Un viaggio immobile come i giorni in cui ha preso vita, ma anche un viaggio nelle profondità del nostro sentire. L’idea alla base è che per viaggiare non sia essenziale spostarsi e così, nell’esplorazione di uno spazio delimitato, ma ricco di suggestioni come le sponde di un lago, ha preso forma un intenso confronto con temi a me molto cari come la memoria, l’assenza, ma soprattutto il ricordo che si fa presente più della realtà stessa che ci circonda. È da lì che scaturisce il viaggio immobile ed è quella la via per fuggire da ogni possibile costrizione che ci venga imposta. Idee queste molto care a tanti autori sparsi nel tempo e anche a un certo tipo di correnti psichedeliche che, da un punto di vista musicale, hanno sempre cercato di rappresentare il viaggio attraverso la ricerca sonora e il percorso dentro sé stessi. In “Lettere da Altrove” accade un po’ questo. Raccontando una storia intrisa di suoni “altri” desideravo portare l’ascoltatore davvero Altrove.
LEGGI ANCHE –> Federica Fontana: “Vi racconto la mia vita nel segno dello yoga”…
Per diverso tempo hai usato lo pseudonimo di “Tibe”, perché poi la scelta di lasciarlo cadere e mostrarti come Lory?
I miei due nomi sono sempre convissuti dentro me e nei miei lavori. Come Tibe (Andrea Tiberio) ho scritto e raccontato per diversi anni della famiglia Muratti quasi fosse altro da me fino a quando è divenuto insostenibile continuare in quel modo. Il bisogno che sentivo di dare spazio in modo alla complessa vicenda personale che soggiace ai miei due nomi si era fatto troppo forte. Una storia familiare che è stata ricca di contraddizioni e passaggi complessi con i quali ho cercato di riappacificarmi così: facendo vivere nell’arte quello che nella vita non mi era stato possibile diventare.
Di te conosciamo mille volti, polistrumentista, producer, scrittore e regista. In quali ti rivedi maggiormente in questo momento?
È nell’equilibrio tra queste forme che ritrovo me stesso e mi è difficile separarmi da una di loro per troppo tempo. Nell’alternanza delle stesse trovo il mio equilibrio dato che hanno, nella mia dimensione artistica, tre funzioni distinte che si manifestano in modo molto chiaro. La scrittura ha l’evidente scopo di raccontare la storia di cui con la musica traduco le emozioni più vivide in modo diretto e non filtrato per poi rielaborare i passaggi più psicologici, profondi e visionari attraverso la regia dei miei lavori video.
LEGGI ANCHE –> L’intervista a Emmanuele Aita, da L’Allieva a Suburra
Sei sempre stato un artista poliedrico e hai dimostrato che vari modi di intendere l’arte si possono coniugare per dare vita a qualcosa di inedito. Cosa si potrebbe ancora sperimentare?
A dispetto dell’ormai consolidato refrain che recita quanto “tutto sia già stato fatto e sperimentato”, credo che tutto sia ancora da sperimentare e credo questo perché ho fiducia nella forza di ogni singolo artista e di conseguenza nella possibilità intrinseca all’individuo di rileggere, non tanto la storia dell’arte, della musica, del cinema o della scrittura apportando modifiche formali di carattere sostanziale, ma sé stesso, la propria vita e il concatenarsi incessante di tutte le esperienze attraversate. Sono quelli i segni sui quali lavorare per intuire chi siamo, trovare così nuovi originali orizzonti e continuare a sperimentare senza posa.
E dell’arte dal vivo cosa ti manca?
Molto semplicemente: la complicità. Quella complicità che si innesca con il pubblico, ma anche con chi ti sta accanto nel momento in cui un’esperienza artistica (e quindi emotiva) viene condivisa facendo vibrare corde che altrimenti resterebbero silenti. Siamo in silenzio da troppo tempo e non dobbiamo assolutamente arrenderci all’idea di aver perso la voce o di non poterne più avere una. Dobbiamo ritrovare con urgenza la via che ci riporti al confronto. Ecco l’altra cosa che, riferita a qualsiasi forma di condivisione dell’arte dal vivo (sia essa un concerto, una mostra, un’installazione, una performance teatrale), mi manca di più. La condivisione, il confronto, la vicinanza che quest’illusoria era digitale e queste distanze non potranno mai sostituire. Lasciamo spazio ai fantasmi che abitano dentro di noi, ma non diventiamo noi stessi dei fantasmi, per favore.
Se vuoi essere sempre informato in tempo reale e sulle nostre notizie di gossip, televisione, musica, spettacolo, cronaca, casi, cronaca nera e tanto altro, seguici sulle nostre pagine Facebook, Instagram e Twitter.
Come ti immagini nei prossimi cinque anni?
Me lo chiedo spesso e cerco di lavorare per costruire quell’immagine di me che sto ancora mettendo a fuoco e che mi vedrà aprire nuovi orizzonti artistici sui quali sono già al lavoro. Da un punto di vista umano spero avrò fatto nuovi passi nella scoperta di chi sono, pratica questa indispensabile ad affrontare il difficile tempo che viviamo.
FRANCESCA BLOISE