Uno studio ha comparato il mercato legale delle specie animali e quello nero in relazione al rischio estinzione: sorprendente risultato.
Il mercato nero degli animali, è una piaga a cui pare l’uomo non riesca a porre fine. Interessi, credenze, culture si mischiano in un cocktail letale per la fauna selvatica. Dalla commercializzazione delle carni alla medicina tradizionale, per poi passare al traffico dell’avorio, ad esempio, sono tutte attività che avrebbero portato alla diminuzione di specie selvatiche del 62% nelle aree in cui appunto si pratica. Eppure un recente studio avrebbe scoperto che anche la commercializzazione legale, se non portata avanti in maniera sostenibile avrebbe i medesimi effetti.
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Pensare che il commercio legale della fauna selvatica sia meno nocivo rispetto a quello nero, è un mito che un recente studio ha sfatato. Un’affermazione, questa, che ovviamente richiede delle spiegazioni. Un team di esperti della Sheffield University, riporta The Guardian, ha voluto porre a confronto i due tipi di commerci esaminando ben 133 specie. Dallo studio sarebbe emerso che dato comune è la sparizione di alcune famiglie di animali, le quali in alcuni hanno subito una diminuzione della loro presenza all’interno del proprio habitat quasi del 100%. È il caso delle scimmie ragno quasi prossime all’estinzione.
Gli studiosi avrebbero rilevato come il commercio di fauna selvatica, a prescindere, provochi il declino delle specie. Ogni scambio porterebbe allo stesso risultato: una rimozione forzata di alcuni animali dal proprio habitat. I ricercatori sottolineano inoltre come a volte, addirittura, alcuni commerci illegali siano più sostenibili, di quelli legali. Uno studio rivoluzionario, dunque, che si è posto quale obbiettivo quello di comparare le due tipologie di compravendita.
A determinare la spinta di questi mercati sono maggiormente gli animali domestici, la carne per il consumo alimentare, la medicina tradizionale. Indistintamente, riferisce The Guardian, tutte queste forme di commercio, operate senza controllo, stanno distruggendo numerose popolazioni della fauna selvatica. A peggiorare il quadro soprattutto gli scambi internazionali, posti in essere in una scala evidentemente maggiore rispetto a quelli locali, in quanto sempre più spesso tende a prendere di mira specie protette come gli elefanti.
Per gli esperti è, dunque, necessario che vengano effettuati degli studi che parlino di dati concreti per cercare di trovare una quadra a questo commercio che deve essere ben gestito. Vero è, ammettono gli studiosi, che però molti cacciatori già si sono votati a metodologie più sostenibili.
Per il gruppo di studio, la verità è che bisognerebbe implementare le politiche di protezione delle specie, valutando anche l’impatto che le commercializzazioni in piccola scala hanno. Servirebbe, a loro avviso, una miglior gestione della domanda e dell’offerta che regoli tale interazione e che la faccia protendere ad una salvaguardia delle specie.
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Alcuni esperti, riporta The Guardian, che non hanno partecipato allo studio hanno espresso il loro parere, affermando che sino ad oggi era ben noto che il commercio influisse sulla sopravvivenza di alcune specie, ma mai nessuno prima aveva valutato l’impatto anche del commercio legale.
M.S.
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