Principessa Latifa: l’appello dell’ONU agli Emirati Arabi

La figlia dello sceicco Mohammed bin Rashid Al Maktoum aveva denunciato tramite video lo stato di prigionia in una villa a Dubai.

La principessa Latifa, figlia del ricco e potente sceicco di Dubai Mohammed bin Rashid Al Maktoum, aveva denunciato di essere trattenuta in ostaggio dal padre, vice presidente e primo ministro degli Emirati Arabi Uniti. La richiesta d’aiuto è avvenuta tramite videomessaggio segreto agli amici: risalente a qualche mese fa, il filmato ritrae la donna accovacciata in un bagno: Latifa dichiara di temere per la sua vita poiché è stata reclusa dal padre in una “villa prigione” a Dubai. L’improvvisa sparizione e il prolungato silenzio della principessa hanno destato seria preoccupazione al suo entourage. Di conseguenza, la cerchia di amici di Latifa ha prontamente girato le sue registrazioni ad alcune emittenti britanniche.

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L’appello dell’ONU agli Emirati Arabi

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L’assenza prolungata della principessa Latifa ha innescato la reazione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, i cui membri hanno recentemente esortato gli Emirati Arabi di fornire quanto prima delle testimonianze credibili sulla situazione attuale della figlia del sovrano di Dubai. “Abbiamo sollevato il caso ieri con la rappresentanza permanente a Ginevra” – ha riferito la portavoce dell’Alto Commissario Onu per i Diritti Umani, Liz Throssell – “richiedendo prove che la principessa sia effettivamente ancora in vita.

La ragazza è stata reclusa dopo il suo fallito tentativo di fuga in barca dagli Emirati Arabi nel 2018. Nell’ultimo filmato, la principessa denuncia la reclusione nella “villa prigione”: “le finestre sono sbarrate […] la situazione peggiora di giorno in giorno. […] Sto facendo questo video dal bagno perché questa è l’unica stanza che posso chiudere a chiave. Sono in ostaggio, non sono più libera.

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Viceversa, le autorità governative locali avevano in precedenza riferito che la principessa Latifa si trovava al sicuro, affidata alle cure dei suoi familiari.

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Fonte The Guardian

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