Si studia la possibilità di produrre il vaccino in Italia: la soluzione però richiederebbe parecchi mesi
Si sta studiando un modo per produrre il vaccino in Italia, una soluzione per cui non mancherebbero, però, i problemi. Innanzitutto, i bioreattori in grado di produrre l’Rna ovvero la proteina del vaccino; in Italia, infatti, ne esistono ma per produrre vaccini differenti oppure non compatibili per produrre milioni di dosi.
Pensare di adattare i bioreattori a disposizione, per renderli efficaci nella produzione del vaccino anti Covid, comporterebbe altri tipi di problematiche; si tratterebbe infatti di un lavoro che richiederebbe un lungo periodo di esecuzione. Inoltre, non si potrebbe più produrre il vaccino per il quale era destinato precedentemente.
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La possibile produzione in Italia del vaccino anti Covid non sarebbe esente da problematiche di carattere diverso. Si va infatti dall’assenza nel nostro Paese di bioreattori in grado di farlo alle tempistiche che richiederebbero un lungo periodo per la realizzazione.
Intanto, giovedì è previsto un incontro al Mise tra il ministro Giancarlo Giorgetti e il presidente di Farmindustria, Massimo Scaccabarozzi per discutere della possibilità. Si tratterà di un incontro in cui – spiega Scaccabarozzi – si spiegheranno i nodi salienti della fase di produzione.
La produzione di un vaccino – prosegue – richiede fasi particolari e soprattutto tempo: non si può pensare di produrlo facilmente e in tempi brevi. Anche il direttore scientifico di Gsk, Rino Rappuoli, che ha coordinato la ricerca sugli anticorpi monoclonali di Toscana Life Sciences, è intervenuto sul tema parlando proprio dei bioreattori.
In Italia – spiega Rappuoli – mancano gli impianti: sebbene Gsk ne sia fornito tuttavia servono per la produzione del vaccino contro la meningite mentre quelli di Reithera non sono in grado di produrre milioni di dosi. Il processo di infialamento, invece, non sarebbe un problema ma, una conversione degli attuali bioreattori, richiederebbe un periodo piuttosto lungo.
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Anche servirsi di nuovi impianti – continua Rappuoli – i quali necessiterebbero dell’approvazione di Ema ed Aifa, richiederebbe tempi piuttosto lunghi. Una possibile soluzione potrebbe essere “il trasferimento in Italia della tecnologia già sviluppata da parte di Pfizer o Astrazeneca per esempio” che richiederebbe, rispetto ad impianti costruiti ex novo, tempi leggermente inferiori – conclude.
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