Anche noi di Yeslife eravamo presenti alla conferenza stampa di presentazione di “E vissero tutti feriti e contenti”, il nuovo album di Ghemon, in uscita il 19 marzo.
Secondo album in meno di un anno per Ghemon. Il cantante originario di Avellino sembra aver trovato in sé un’inestinguibile energia vitale e ce lo racconta nel corso della sua conferenza stampa di presentazione di “E vissero feriti e contenti”. Il cd – il settimo in studio per l’artista – uscirà il 19 marzo e sarà preceduto dal brano Momento perfetto, in gara al Festival di Sanremo 2021.
Ho vissuto questo anno ad ondate. C’è stato un primo momento in cui ho dovuto capire cosa mi stava succedendo intorno e sono rimasto bloccato. Mi sentivo con molti colleghi durante il primo lockdown e alla domanda “Ma tu stai scrivendo qualcosa in questo periodo?” rispondevo sempre, ‘no, Sono bloccato ad osservare cosa succede”. Poi ci sono state delle altre fasi, in particolare quella di “aggiustamento” e quella di “voglia di vivere”.
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Ghemon sul nuovo album: il desiderio di cambiare, vivere e “resistere al tempo”
“Nonostante avessi appena scritto un disco, non mi sentivo consumato a livello di energie – ci ha rivelato Ghemon in apertura della sua conferenza stampa – Avevo un sacco di voglia di fare musica. È stato un disco fatto a tempo di record e nato dalla voglia, da un grande desiderio“.
All’interno dell’album ci sono molte contrapposizioni e tanti temi diversi, ma tutto alla fine trova un giusto equilibrio.
Sì, diciamo che con il tempo ho cercato di mettere l’occhio sulle sensazioni quotidiane. Nella prima parte della mia carriera la poetica sembrava quella di un poeta un po’ annoiato. Oggi mi chiedo come posso dare ritmo, melodia o addirittura poesia a cose che mi succedono tutti i giorni, magari anche in casa. Poter scrivere cose di tutti i giorni in una canzone e farla essere comunque elegante ed interessante musicalmente è una delle cose che mi divertono di più di questa parte della mia carriera. È bello avere un approccio più immediato alle idee. Sto riuscendo ad inserire anche una cifra di me stesso che fino ad adesso non sono riuscito bene a dimostrare. Parlo della parte ironica, divertita, quella che guarda con spirito alla vita.
C’è chi ti vorrebbe sempre uguale, eppure in questo album ci sono un paio di guizzi musicali che stupiscono. Com’è stato allargare il tuo orizzonte musicale?
C’è sempre una sorta di latenza tra il “Gianluca-ascoltatore” ed il “Ghemon-artista”. L’house tendente al soul, così come la tecno o come il reggae sono tutte cose che mastico come ascoltatore da molti anni, ma finché non sento che mi sono entrate sotto pelle e che posso dire la mia, non faccio musica di quel tipo. Ci penso tantissimo, ma decido di concretizzare un’idea solo quando sono sicuro che tra quindici anni quella cosa parlerà ancora di me. Non voglio che parli solo di un momento della mia vita. Cerco sempre di fare cose che possano resistere al test del tempo.
Tra le contrapposizioni c’è anche quella tra la tua forte individualità come artista e la coralità di questo album.
Paradossalmente, nell’anno delle grandi solitudini e delle grandi distanze ho fatto un disco di gruppo. Abbiamo lavorato sia da remoto che in studio, quando possibile e con tutte le misure di distanziamento necessarie. Non so come sia possibile, ma si è creato uno spirito di gruppo come mai prima d’ora c’era stato nei miei album. Questa è la soddisfazione più grande che ho avuto come uomo, ancor prima che come artista.
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“E vissero tutti feriti e contenti”: significati e simbologia
Nel corso della conferenza stampa Ghemon ci ha parlato della struttura e del contenuto del suo nuovo album, “E vissero feriti e contenti”, un progetto dal titolo fiabesco che rappresenta un percorso alla scoperta di nuovi orizzonti musicali. I brani, collegati dalla voce narrante dell’attrice Chiara Francese, costituiscono un unicum, una storia articolata in quindici tracce in cui “tutto trova un giusto equilibrio”.
Dalla copertina si evince che il tuo look è cambiato moltissimo. Inoltre sei accompagnato da un gatto, una cosa alquanto bizzarra. È stata una scelta affettiva o simbolica?
Per quanto riguarda il look, io affronto gli anni della mia vita come se fossi il personaggio di un film: metto quaranta chili, mi raso… la cosa triste è che non mi pagano per farlo (ride). Il gatto è simbolico. Mi piacciono gli elementi surreali, voglio che le persone si facciano una domanda e si chieda perché c’è questo gatto. È un gatto buonissimo, ma qui è in posizione rampante, pronto a scattare, proprio come mi sento io. Inoltre questo è il mio settimo album e i gatti hanno sette vite. C’è davvero un legame simbolico dietro.
Il titolo dell’album è molto immediato, arriva subito. Come è nato?
Ero sul ballatoio di un palazzo a Milano. Stavo guardando il ballatoio di fronte ed il titolo è arrivato da solo. Non ci stavo pensando, è semplicemente venuto fuori questo concetto e ho pensato che riassumesse quello che tutti stavamo vivendo. Quando mi sono messo a scrivere questo disco, non mi interessava scrivere musica malinconica che tra un anno ci avrebbe fatto ricordare di quanto eravamo stati tristi. Volevo una musica di liberazione e che il titolo facesse arrivare fin da subito entrambi i concetti: quello che eravamo stati e quello che volevamo essere.
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Ghemon ci ha parlato anche del Festival di Sanremo, dove presenterà il suo brano Momento perfetto. “Mancherà sicuramente una parte di colore e di folklore“ ammette, quando gli viene chiesto come gestirà la mancanza di pubblico all’Ariston, ma aggiunge che cantare in un posto vuoto non lo spaventa. “Non è la prima volta che succede nel corso della mia carriera, in passato mi ci sono fatto le ossa”.
Il tuo brano per Sanremo è stato definito “esistenzialista”. Ti ritrovi in questa definizione?
Più che esistenzialista lo definirei molto “realista”. Parte dicendo “avevo aspettative su chissà che risultati, ma erano tranelli e mi ritrovo con le mani nei capelli”. È un brano che non entra in punta di piedi, dice chiaramente che la vita è fatta di un sacco di aspettative che vengono disattese ed è inutile fare i supereroi. È molto realista, ma è anche ottimista.
Nella serata dei duetti ci saranno anche i Neri per caso. Come mai questa scelta?
Verso maggio-giugno ho riascoltato tutto il catalogo dei Neri per caso. In quel periodo il pensiero di Sanremo mi sfiorava solo alla lontana, ma ho pensato: “Se mai dovessi andare a Sanremo, voglio loro come ospiti”. Volevo portare questa loro versione corale della musica, che è una cosa molto rara in Italia.