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Esteri

La repressione di sangue non si ferma: altri 12 morti in Birmania

Le proteste anti-golpe continuano ad accendere le strade del Myanmar: drammatico bollettino per la giornata dell’11 marzo.


Le proteste continuano accendersi in Birmania, all’indomani del lunedì infernale del Colpo di stato Militare (1° febbraio). Dal giorno del golpe per mano dell’esercito, la folla dei manifestanti non ha mai smesso di animare le strade del Paese dell’Asia sudorientale. I protestanti non desistono e chiedono il ripristino della previa, nonché legittima, forma di governo con l’immediato rilascio della leader democratica eletta Aung San Suu Kyi (premio Nobel per la pace nel 1991).

Dalla drammatica uccisione della prima vittima simbolo della repressione, Mya Thwate Thwate Khaing, la 20enne stesa a terra con un colpo alla testa dalla polizia, persiste la rigida repressione da parte dell’esercito, la cui censura è appena percettibile nel blocco forzato del traffico web, in particolare dei principali social networks; mentre riecheggia con violenza nel sanguinoso intervento armato da parte della polizia antisommossa.

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Altri 12 morti: “Il mondo è completamente stravolto”

La famiglia piange Ko Chit Min Thu, colpito alla testa dalle forze armate a Yangon giovedì durante la manifestazione contro il colpo di stato militare. (Getty Images)

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L’ultima manifestazione anti-golpe si è conclusa tragicamente e la sanguinosa giornata di ieri segna un drammatico bilancio. Secondo quanto riportano i media locali, sono almeno 12 i manifestanti che hanno perso la vita ieri per mano delle forze di sicurezza. La repressione di giovedì 11 marzo è tra le più sanguinose registrate finora. I dati dell’Associazione per l’assistenza ai prigionieri politici (AAPP) – l’organizzazione non-profit a difesa dei diritti umani basata in Thailandia, annovera almeno otto vittime anche nella cittadina di Myaing, nel Myanmar centrale.

La brutalità degli ufficiali è inesprimibile. Per le strade bagnate dalla pioggia e dal sangue, gli agenti di polizia hanno continuano a “sparare a un gruppo di civili disarmati, uccidendo almeno otto persone e ferendone più di 20”, secondo testimoni e funzionari dell’ospedale citati dal New York Times.

Sparavano alle persone come fossero uccelli“, ha riferito il residente Myint Zaw Win. “Come possono trasformarsi da semplici agenti a veri mostri?” – ha aggiunto – “Il mondo è completamente stravolto.” La maggior parte delle vittime si è invece verificata nelle grandi città come Yangon e Mandalay, dove le forze militari hanno sparato in almeno 17 diverse città del paese, quali Taungdwingyi, Myingyan, Salin, Kalay, Htee Lin e Pyapon.

Sempre a Yangon, la città più grande della Birmania, ha perso la vita il manifestante Chit Min Thu nel distretto di North Dagon. Sua moglie, Aye Myat Thu, ha confessato all’agenzia Reuters di aver insistito per unirsi a lui nella protesta, ma il marito l’aveva pregata di restare a casa per il bene del figlio. “Ha detto che valeva la pena morire” – ha riferito la donna in lacrime – “era preoccupato della morte della democrazia, visibile quando ci sarà una spiccata assenza di adesione da parte dei cittadini nelle proteste.”

Le associazioni pro-democrazia hanno lanciato un messaggio sui social networks: i post esortano i manifestanti a continuare a lottare e a non lasciarsi intimorire dall’esercito. Gli attivisti stanno organizzando una nuova protesta che accenderà la notte di questo venerdì (12 marzo) e auspica la prosecuzione degli scioperi e della disobbedienza civile a favore del ritorno del governo democratico di Aung San Suu Kyi.

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La famiglia piange Ko Chit Min Thu, colpito alla testa dalle forze armate a Yangon giovedì durante la manifestazione contro il colpo di stato militare. (Getty Images)

Secondo quanto riportano i dati dell’Ong per l’assistenza ai prigionieri politici (AAPP), dall’inizio del Colpo di Stato oltre 70 persone sono state uccise per mano delle forze armate militari mentre il numero degli arresti sale a 2.045.

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Fonte Reuters

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