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Televisione

Oggi è un altro giorno, Rula Jebreal: “Il suicidio di mia madre e la violenza”

Rula Jebreal, giornalista e scrittrice palestinese, è ospite di Serena Bortone a Oggi è un altro giorno del 22 marzo. Di recente ha scritto un libro dal titolo “Il cambiamento che meritiamo – come le donne stanno tracciando la strada verso il futuro”.

Le donne meritano il cambiamento – esordisce la giornalista Rula Jebreal – perché la civiltà di una società si misura anche attraverso il modo in cui trattiamo le donne e le ragazze. La parità è una questione di giustizia, è una questione democratica. Il fatto che abbiamo una fascia della popolazione, il 50%, escluda da molti campi e dobbiamo proteggerci con le quote rosa ci fa sapere che il potere maschilista e patriarcale è ancora diffuso e potente. Una donna su tre tra i 15 e i 70 anni subisce abusi e violenze, molestie, stupri. Se penso che in Italia dall’inizio dell’anno ci sono 16 donne assassinate da uomini che dichiarano di amarle questo ti fa capire che c’è un’emergenza gravissima che dobbiamo fronteggiare tutti insieme. E soprattutto bisogna fare leggi per la protezione delle donne“.

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Il racconto di Rula Jebreal, dal suicidio di sua madre alla speranza in un mondo migliore per la sua piccola

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La condanna ad essere vittime – dice Serena Bortone – che deriva dal patriarcato è una condanna dalla quale ci si deve ribellare e tu ti sei ribellata benissimo grazie a una figura che descrivi come il primo femminista che hai incontrato nonostante fosse musulmano conservatore“.

A questo punto, la giornalista palestinese interrompe immediatamente la conduttrice stizzita e dice: “Non riesco a capire cosa vuol dire ‘nonostante musulmano’ sembra che i musulmani sono… cioè la questione della violenza contro le donne non è una questione di religione né di razza. E’ sbagliato dirlo“.

E a questo punto Serena Bortone replica: “Lo scrivi tu Rula, tu scrivi che un femminista musulmano conservatore , facevo riferimento a una frase del tuo libro“.

– afferma stizzita Rula Jebreal – io ho scritto che era un uomo musulmano ed era il primo femminista che credeva che l’arma più potente era l’istruzione ma non ho detto nonostante“.

Così la conduttrice è costretta a scusarsi con vari giri di parole e con visibile imbarazzo dice: “Hai fatto bene a riprendermi perché non volevo fraintendimenti“.

Cerca di cambiare discorso Serena Bortone, chiedendo a Rula Jebreal quali siano le figure di donna che lei apprezza di più ma lei torna a parlare della figura del padre che è stato tanto importante nella sua crescita e nella sua determinazione di donna e di professionista.

Torno alla storia di mio padre – dice Rula – a Sanremo ho parlato di tanti uomini perbene perché nella società la battaglia per la parità e l’uguaglianza non è una questione solo di donne. Torno a mio padre perché lui era il primo femminista della mia vita che non solo credeva nell’uguaglianza ma ha spinto affinché le sue figlie continuassero ad andare a scuola nonostante avesse pochissimi soldi e fosse un uomo malato. Ha investito nella nostra educazione perché era l’arma più potente per cambiare questo nostro mondo. Lui era un uomo musulmano come tanti uomini perché la questione della parità e dei diritti delle donne ha rotto la catena del genere, della razza e della religione e oggi ci troviamo uniti in una questione trasversale. Come abbiamo visto negli Stati Uniti dove una coalizione di uomini e donne che credono in una democrazia anche le cittadine devono essere rappresentate perché quando una ragazza di umili origini come Kamala Harris diventa vice presidente“.

Mia madre si è suicidata dandosi fuoco ma il dolore era una fiamma lenta che aveva iniziato a bruciargli i vestiti prima dell’adolescenza perché mia madre Nadia fu brutalizzata e stuprata due volte“. Questo il discorso di Rula Jebreal a Sanremo 2020, scritto insieme con Selvaggia Lucarelli, quello che è rimasto impresso nella mente delle italiane che credono in questa battaglia.

A questo punto Serena Bortone chiede a Rula Jebreal: “Perché l’amore di tuo padre non è bastato a salvare tua madre?“.

Lo stupro – replica – ha fatto parte della mia vita perché è stata un’ombra che mi ha accompagnata. Intervistando molte donne che sono state stuprate, mi sono resa conto che ci sono una serie di questioni e di sintomi e quando accade a un’età molto giovane queste ragazze difficilmente possono recuperare. Infatti, uno dei sintomi principali è la depressione, fanno fatica ad avere rapporti affettivi, molti abusano di droga, di alcool. Mia madre era una donna che aveva dei traumi psicologici ed emotivi che l’hanno resa una donna danneggiata profondamente che non riusciva a farsi amare e ad accettare la sua realtà. Oltre al silenzio che la società ci impone“.

L’orfanotrofio in cui sono stata allevata – continua – organizzava delle uscite in questi campi profughi palestinesi in cui ci voleva far riflettere sul trauma collettivo. Ci parlavano anche di razzismo e anche quello è una forma di violenza. C’è anche una violenza di sistema che nega la giustizia alle sopravvissute. Io non le chiamo vittime ma sopravvissute“.

Mia madre è morta quando avevo cinque anni – racconta – io ricordo chiaramente mia madre, questa donna sempre persa con lo sguardo, era una donna che beveva, era alcolizzata, mi ricordo i pianti. La cosa che ricordo di più è l’atteggiamento di mio padre che era molto protettivo nei suoi confronti, era un Imam della moschea e nonostante questo, quando lei beveva, andava lui a comprare le bottiglie perché a tutti i costi voleva accontentarla“.

Poi ricordo la telefonata di quando si è suicidata – conclude – e ricordo le lacrime di mio padre che scendevano sulla sua faccia in maniera dignitosa perché non voleva farci vedere il suo dolore. Poi all’età di otto anni ho saputo tutti i dettagli da un’amica di mia madre che mi ha raccontato tutto e la cosa straordinaria è che il gruppo delle amiche di mia mamma, i vicini di casa ma soprattutto le donne, hanno continuato a instillare in me il fatto che mia madre avrebbe avuto giustizia attraverso noi perché noi avremmo dovuto parlare della sua storia e far in modo che si risveglino le coscienze e questo non accada mai più“.

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Rula Jebreal oltre ad essere una grande professionista è anche una madre. A questo punto Serena Bortone chiede alla giornalista dove avesse trovato “l’alfabeto emotivo per crescere una giovane donna”.

Mi sento molto in colpa – dichiara Rula – perché ho lavorato tutta la vita per dare a mia figlia una vita di qualità però come tante donne che lavorano sono stata assente. Spero di essere una buona madre ma mi sono appoggiata a molte donne nella mia vita come la mia ex suocera ma anche la moglie del padre di mia figlia che è stata la prima donna a regalare a mia figlia un libro sul femminismo. Insieme a questo gruppo di donne ci siamo sostenute“.

Mio padre era malato – conclude – aveva una forma di cancro che lo ha portato alla morte ma viveva aka sua vita con dignità e responsabilità. Era un uomo che si dedicava alla sua comunità. Tutti i giorni io penso all’investimento di mio padre nella mia istruzione, formazione e moralità, alla mia insegnante e all’ingiustizia che mia madre ha dovuto subire. Penso soprattutto a mia figlia perché ci tengo molto a essere un esempio per lei e la sua generazione“.

 

 

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