Le proteste non si arrestano, così come l’intervento delle milizie. Dal primo febbraio continua a salire il bilancio dei morti.
Le proteste anti-golpe continuano ad accendere le strade Birmania, all’indomani del lunedì infernale del Colpo di stato Militare (primo febbraio). Dal giorno del Colpo di Stato, la folla non si è mai piegata alla volontà delle milizie e le grida di dissenso continuano a correre lungo l’intero territorio del Paese dell’Asia sudorientale. Dalla tragica uccisione di quella che è divenuta simbolo della repressione, la 20enne Mya Thwate Thwate Khaing, uccisa con un colpo alla testa dalla polizia, la repressione di sangue da parte dell’esercito prosegue e riecheggia nei costanti interventi sanguinosi da parte della polizia antisommossa.
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Il bilancio di oggi: 90 vittime
More than 90 killed in Myanmar “They are killing us like birds or chickens,..” said Thu Ya Zaw, in the central town of Myingyan, where at least two protesters were killed. #WhatsHappeningInMyanmar https://t.co/w4U2qYRpAA
— Thu Thu Aung (@thuttag) March 27, 2021
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I manifestanti pro-democrazia non desistono e continuano a riunirsi per chiedere il ripristino della previa, e legittima forma di governo, nonché l’immediato rilascio della leader democratica eletta Aung San Suu Kyi (premio Nobel per la pace nel 1991), attualmente agli arresti domiciliari.
Il bollettino di questo sabato (27 marzo) è drammatico: oggi 90 persone hanno perso la vita in Myanmar per mano della repressione effettuata dalla giunta militare. Secondo quanto riporta il notiziario Myanmar Now, citato da The Guardian, almeno 29 persone sono state uccise nella città di Mandalay, tra cui un bambino di 5 anni; mentre altri 24 manifestanti sono morti a Yangon durante i violenti scontri notturni con la polizia antisommossa. Stando a quanto riferisce il media britannico, tra i feriti c’è anche un bambino di un anno, colpito a un occhio da un proiettile di gomma.
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Il bilancio totale delle vittime a partire dal Colpo di Stato del primo febbraio sale a 328 persone uccise durante la rigida repressione per mano dell’esercito.
Fonte The Guardian