A quasi 40 anni dalla scomparsa di Pompeo Panaro, la sua morte è ancora avvolta nel mistero, fra ‘ndrangheta, depistaggi ed errori giudiziari
Uno speciale delle Iene riaccende i riflettori su uno dei casi di cronaca nera più misteriosi degli ultimi anni. Il commerciante e politico Pompeo Panaro fu ucciso a 48 anni nel luglio 1982 a Paola, in provincia di Cosenza. Da consigliere comunale in forze alla Democrazia Cristiana, Panaro si oppose alla corruzione dilagante. Fu fatto sparire e chi doveva pagare per la sua morte non ha mai fatto i conti con la Giustizia.
Sul delitto Panaro c’è l’ombra della ‘ndrangheta, la criminalità organizzata calabrese, ma anche un complesso sistema di depistaggi ed errori giudiziari che finora hanno impedito che la verità venisse a galla. E che hanno fatto sì che le indagini fossero archiviate. A combattere contro questo sistema corrotto oggi c’è Paolo, il figlio di Panaro, che all’epoca della sua morte era solo un bambino.
Davanti alle telecamere delle Iene, Paolo Panaro ripercorre tutta la vicenda. Inizialmente la sparizione di Pompeo fu archiviata come probabile caso di “lupara bianca”, termine usato per definire gli omicidi a stampo mafioso, in cui il cadavere non viene ritrovato. Solo quando dopo 10 anni, nel 1993, la famiglia richiede il certificato di “morte presunta”, emergono nuovi dettagli.
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La Procura in origine aveva aperto un’indagine sul caso Panaro, trattandolo non come scomparsa, ma come omicidio volontario. Analizzando il fascicolo delle indagini compaiono le prime grosse incongruenze: il cadavere del padre era stato ritrovato pochi mesi dopo grazie a una telefonata anonima, ma nessuno aveva mai avvisato la famiglia.
A quel punto Paolo presenta un esposto alla Dda, la direzione distrettuale antimafia e fa riaprire le indagini. Si scopre che due pentiti, Federico Soria e Giuliano Serpa, avevano raccontato cosa accadde a Panaro: fu sequestrato, torturato e ucciso. E facevano anche i nomi degli assassini, un gruppo di ‘ndranghetisti locali.
Il paradosso? La magistratura non perseguì nessuno di loro perché secondo gli atti erano già deceduti. Ma in realtà solo tre sono morti davvero: gli altri sarebbero ancora vivi. “Sono tutti pregiudicati, alcuni sono in galera. Tutti noti alle Forze dell’ordine – spiega Paolo – com’è possibile che nessuno li accusi della morte di mio padre?“. Dichiarando morti tutti gli esecutori del delitto Panaro, il processo fu archiviato dalla Corte d’Assise nel 2015.
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E la Iena Alessandro Politi avvalora la tesi del depistaggio. A Paola, con uno stratagemma ha incontrato due dei “presunti morti” di persona. Altri due sono in carcere, mentre un terzo ne è uscito da poco. E Paolo Panaro assicura: “Continueremo a raccontare cosa è accaduto a mio padre e a chiedere risposte alle nostre domande“.
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