Rino Gaetano. Quarant’anni fa la morte del cantautore avvenuta per un tragico incidente. Il ricordo è sempre vivo nei suoi fan e riscoperto dalle nuove generazioni per l’attualità dei suoi testi
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Facendo un viaggio indietro nel tempo a poco più di un anno fa, troviamo un’Italia affranta, piegata, logorata da un avvenimento che ha cambiato per sempre le vite di tutti. La pandemia da Coronavirus ci ha costretti a una permanenza forzata all’interno delle nostre case, impauriti per l’incertezza di ciò che stava accadendo di fronte ai nostri occhi.
Avevamo bisogno di speranza, di conforto, di sentirci vicini e uniti nonostante tutto. É stato il momento di riscoprirci “nazione”. Storiche rimarranno le immagini delle persone che si davano appuntamento nei balconi, intonando principalmente due brani; il primo, ovviamente, l’inno di Mameli. Il secondo, invece, è stato sempre “un inno”, sebbene di stampo nazional popolare, un dipinto di un paese, realizzato negli anni ’70 ma ancora attuale, che porta la firma del cantautore Rino Gaetano.
La sua voce graffiante risuonava come un grido di fiducia, di desiderio energico di voler uscire da una situazione drammatica: “Ma il cielo è sempre più blu”. Da Nord a Sud gli italiani hanno cantato con lui e grazie a lui.
E come non rispecchiarsi ancora oggi, nell’anno 2021, in quella descrizione perfetta che ci delinea come popolo? Una critica ardente, è vero, ma in essa si palesa anche la spinta resiliente, tipicamente italiana, di superare gli ostacoli. “Chi vive in baracca, chi suda il salario, Chi ama l’amore e i sogni di gloria, Chi ruba pensioni, chi ha scarsa memoria,
Chi mangia una volta, chi tira al bersagli, Chi vuole l’aumento, chi gioca a Sanremo… Ma il cielo è sempre più blu”.
Rino Gaetano, il menestrello calabrese strappato troppo presto alla vita
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Non aveva nemmeno compiuto 31 anni Rino Gaetano quando morì; già aveva contribuito al cantautorato italiano così pesantemente da lasciare ancora oggi un segno indelebile.
Nato nel 1950 a Crotone, in Calabria, si trasferì a Roma in giovanissima età e, grazie alla frequentazione del locale Folkstudio, entrò in contatto con molti artisti della capitale come Antonello Venditti, Ernesto Bassignano e Francesco De Gregori.
Conosciuto dal grande pubblico principalmente per la canzone Gianna (classificatasi al terzo posto al 28° Festival di Sanremo), Rino Gaetano nascondeva dietro semplici testi una denuncia sociale forte e veemente. Proprio nel brano appena citato si riferiva ironicamente alla massoneria e alla politica italiana, fatta di promesse disilluse, sesso, materialismo e denaro.
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Tanti i ritratti femminili nei suoi testi (Aida, Berta, Lucia, Maria, oltre Gianna) e grande satira (Nuntereggae più, Sfiorivano le viole, Il cielo è sempre più blu, E cantava le canzoni), per un uomo che, facendo anche nomi e cognomi importanti, ha raccontato l’Italia degli anni di piombo e delle P38, degli attentati e delle stragi. In Mio fratello è figlio unico toccò anche temi sociali, cantando l’emarginazione e la solitudine.
Morì il 2 giugno 1981 a causa di un tragico incidente stradale. Due anni prima, nel 1979, era uscito illeso da un simile avvenimento: un fuoristrada contromano aveva spinto la sua Volvo contro il guard rail. L’auto fu distrutta ma lui sopravvisse.
Non fu ugualmente fortunato una seconda volta. Dopo una serata passata nei locali, si trovava da solo a bordo della sua nuova auto. Alle 3:55, percorrendo via Nomentana a Roma, ha perso il controllo della vettura e ha invaso la corsia opposta.
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Un camionista che sopraggiungeva nell’altro senso di marcia lo ha urtato inevitabilmente. Portato prima al Policlinico Umberto I, poi ricoverato al Gemelli, morì a causa delle ferite craniche riportate. Si aprì un’inchiesta per via della mancanza di posto nei vari nosocomi contattati e del mancato tempestivo ricovero.
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Ironicamente, in un testo mai pubblicato di Rino Gaetano, raccontava della morte di un giovane di nome Renzo, deceduto in situazioni simili alle sue: «La strada era buia, s’andò al S. Camillo e lì non l’accettarono forse per l’orario, si pregò tutti i santi ma s’andò al S. Giovanni e lì non lo vollero per lo sciopero.»