Le ultime dichiarazioni di Angelo Licheri, il soccorritore che tentò di salvare Alfredino Rampi, tuonano come un fulmine a ciel sereno.
Ad esattamente quarant’anni dalla tragedia che coinvolse il bimbo all’epoca di sette anni, Alfredino Rampi, precipitato accidentalmente nell’oscurità di un pozzo durante un gioco a Vermicino e rimasto vittima di quella profondità, nonostante i lunghi ed incessanti tentativi di soccorso, prende la parola il suo soccorritore.
E’ senza dubbio, quella di Alfredino, una vicenda che ha segnato, per la sua irrimediabilità la penisola italiana e che resta tutt’oggi una struggente storia, impossibile da dimenticare. In un’intervista, il soccorritore volontario di origine sarda e dalla taglia minuta oggi settantaseienne, Angelo Licheri ripercorre quei momenti del 1981 come se fossero ancora una viva parte del suo presente.
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“Vorrei che questa tragedia restasse nel cuore di tutti“. Afferma inizialmente Angelo raccontando come sia adesso, fragile e soppesata da alcune difficoltà fisiche, la sua quotidianità. E di quanto ancor più avverta ancora oggi quella fatica nel riuscire ad accettare pienamente l’inefficacia dei tentativi messi in atto al tempo per salvare la vita ad Alfredino.
Stando a quanto raccontato da Licheri, si tratterebbe dunque di una sensazione che si fa strada nel suo animo con costanza, nonostante la consapevolezza di aver tentato anche l’impossibile. Licheri ha infatti messo coscientemente la sua vita a rischio perché credeva fermamente di poter riuscire nell’impresa, in quegli interminabili 45 minuti che egli stesso rivive ora nei minimi dettagli ad occhi aperti ripercorrendo quella discesa a testa in giù ed il contatto con il bambino. Ha voluto poi ripercorre il momento in cui finalmente era riuscito ad arrivare in fondo al pozzo e a toccare con mano Alfredino.
“Mentre facevo tutte queste manovre, lui ascoltava e rantolava. Gli promettevo tante cose in quei momenti: che gli avrei comprato la bicicletta nuova e che sarebbe stata migliore di quella dei miei 3 bambini, piccoli come lui. Insomma, cercavo di incoraggiarlo in tutti i modi“.
Purtroppo però, dopo aver provato in tutti modi a riportarlo in superficie, ha capito che: “Non c’era più nulla da fare. Gli ho mandato un bacino e gli ho detto “Ciao piccolino”. Poi, con un tono disperato, intimavo ai soccorritori di tirarmi su. Una volta tornato in superficie, mi hanno portato in ospedale per le ferite. Sono stato ricoverato per un mese“.
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