La Corte d’Assise di Bergamo si è espressa negativamente alla richiesta di Massimo Bossetti di un riesame dei reperti
Il caso di Yara Gambirasio continua a far discutere nonostante la condanna di Massimo Bossetti sia stata confermata in tutti e tre i gradi di giudizio. Il muratore di Mapello, infatti, non ci sta e dal carcere continua a dichiarare che è innocente e che Yara non ha ottenuto giustizia.
Yara scomparve da Brembate di Sopra, in provincia di Bergamo, il 26 novembre 2010; il suo corpo fu rinvenuto solo tre mesi dopo in un campo, a pochi chilometri da Brembate. Le indagini condotte sul caso portarono, dopo lunga e complessa ricostruzione, all’identificazione di Massino Bossetti come il responsabile dell’omicidio.
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Intanto Massimo Bossetti chiede da tempo, tramite legale, nuove analisi sulle tracce biologiche trovate sui vestiti di Yara. Ribadisce la sua innocenza e fa sapere che non intende arrendersi di fronte al rifiuto espresso dalla Corte d’Assise di Bergamo al riesame dei reperti.
L’avvocato del Bossetti, Claudio Salvagni, si dice stupito del pronunciamento della Corte nonostante il parere favorevole espresso dalla Suprema Corte di Cassazione. Il legale afferma “Noi non ci arrendiamo e per questo abbiamo già presentato un ulteriore ricorso in Cassazione, visto che nelle tre precedenti occasioni, la Suprema Corte ci ha sempre dato ragione. Ora quindi andremo in Cassazione per la quarta volta perché è un nostro diritto e un diritto di Massimo Bossetti, vedere quei reperti rimasti ed esaminarli”.
La decisione della Corte d’Assise di Bergamo ha dell’assurdo per l’avvocato e lede peraltro “i principi fondamentali del diritto”. Inoltre, manifesterebbe l’intento della Corte di “evitare” di riaprire il caso. L’obiettivo del Bossetti, però, è quello di continuare a lottare per poter dimostrare l’assenza del suo Dna attraverso una nuova valutazione.
Salvagni ha anche rivelato di aver incontrato il Bossetti e di averlo trovato sensibilmente “provato”. “Non a caso” – riferisce – “è controllato costantemente dagli operatori penitenziari per evitare che commetta qualche insano gesto”.
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