Alessandro Lucino. Disponibile finalmente il secondo romanzo dello scrittore dal titolo “L’assassino senza volto”. Dopo il successo de “La Sfera di Glasbal”, torna in libreria con un thriller suggestivo
Dopo il successo del suo romanzo d’esordio, “La Sfera di Glasbal”, torna in libreria il giovane scrittore Alessandro Lucino, classe 1994. Propone al suo pubblico un thriller, “L’assassino senza volto”, carico di suspense, in cui è evidente il frutto della ricerca e degli studi che ha dovuto affrontare per prepararsi al meglio per descrivere le atmosfere di questo viaggio letterario in cui la tensione narrativa raggiunge livelli molto alti.
Alessandro Lucino ha raccontato a YesLife le fasi e le emozioni che lo hanno accompagnato nella stesura di quest’opera, acquistabile nelle migliori librerie, su Amazon, IBS, presente sia versione cartacea che in formato ebook (link alla fine dell’articolo). Cosa ci ha raccontato.
Quando è nata l’idea per “L’assassino senza volto”? Quanto il lockdown ha inciso sulla sua stesura?
Avevo in mente di scrivere un thriller già da molto tempo perché è il mio genere preferito e da lettore mi ha sempre affascinato. “L’assassino senza volto” è stato frutto di una serie di bozze iniziate e accantonate, riprese e lasciate maturare nel cassetto, principalmente per mancanza di tempo, finché un giorno mi sono convinto a portare a termine la storia. Tutto ciò è avvenuto prima del lockdown. Quel periodo mi ha aiutato a concentrare le energie nella fase di editing e di rilettura finale. Personalmente, quando metto il punto di fine a una bozza di un nuovo romanzo, faccio passare qualche settimana prima di intervenire sul testo. Questo mi permette di rileggerlo a mente fresca, scovare più facilmente eventuali errori e refusi, ma non solo, anche parole o frasi che apparentemente appaiono corrette, ma che in realtà necessitano di una revisione approfondita. Ne “L’assassino senza volto” ho cercato di donare al romanzo un ritmo molto alto e un lessico semplice, a discapito di una narrazione più complessa. Credo che i thriller, così come i gialli, non necessitino di una prosa “infiocchettata” o di particolari “ornamenti” del testo. Anzi, l’andare “dritto al punto”, a mio avviso, è uno dei capi saldi di questi generi narrativi.
Quali sono le sue emozioni rispetto al suo primo romanzo, “La Sfera di Glasbal”? Cosa è cambiato nell’approccio e nella creazione de “L’assassino senza volto”?
Tecnicamente, niente. In realtà, tutto. Sono maturato, non solo dal punto di vista letterario. Sono cresciuto e ho acquisito maggiore consapevolezza delle mie capacità. Durante la stesura de “La sfera di Glasbal” ero un ragazzo a cui piaceva leggere, pieno di ambizioni, sogni nel cassetto, ma anche abbastanza ingenuo. Sono pronto a scommettere che qualunque esordiente — me compreso — sia convinto di aver scritto il bestseller dell’anno, ma poi ci si scontra con il giudizio insindacabile dei lettori e della critica, e non sempre si esce vittoriosi.
Nel mio caso, fortunatamente, ho avuto giudizi tutto sommato positivi, anche se non nascondo di aver ricevuto qualche critica. Ho pubblicato “La sfera di Glasbal” nel 2017 e oggi pubblico “L’assassino senza volto” nel 2021. Avevo 23 anni, ora 27. Prima abitavo con i miei genitori, ora convivo con la mia ragazza. Durante questi quattro anni di “stop”, ho cercato di fare tesoro del giudizio di professionisti, di migliorare il mio stile di scrittura, ma anche la caratterizzazione dei personaggi e dei luoghi. Insomma, ho studiato e ho scritto “L’assassino senza volto” cercando di sopperire a tutte le mancanze che mi erano state appuntate nel mio precedente romanzo e rafforzando gli aspetti positivi. C’è anche da dire che si tratta di due generi diametralmente opposti. Uno è un romanzo di formazione, l’altro un thriller. Ne “La sfera di Glasbal” parlo di un ragazzo, Leonardo Leone, nato e cresciuto nella Milano bene, che si è dovuto dare da fare per scovare i segreti e le incertezze che stavano alla base del fallimento economico dell’azienda di suo padre. Ho trattato temi come la criminalità organizzata, i giochi di potere, le amicizie che sfociano in tradimenti. C’è stata una maturazione del protagonista, un cambiamento.
Ne “L’assassino senza volto”, invece, ci troviamo a Londra, una metropoli che ho visto poche volte nella mia vita, anche se per lunghi periodi, e che mi ha follemente stregato. La storia gira tutta attorno a Mark Forks, un docente di letteratura inglese, che riceve una lettera anonima nella quale si prevede un omicidio con tanto di macabri dettagli. Edward Scott, ispettore capo del Metropolitan Police Service, dovrà indagare su una serie di crimini messi in atto da uno spietato assassino. Perciò il lettore si troverà a confrontarsi con una trama carica di tensione e si immedesimerà in tutto e per tutto nelle menti dei personaggi, compresa quella dell’assassino.
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Che tipo di ricerca ha condotto per l’elaborazione di un thriller? Ci sono stati eventi reali di cronaca che hanno contribuito a fornirle informazioni?
In realtà, l’idea di base è derivata da un evento tanto inaspettato quanto illuminante. Un giorno, un amico, ha ricevuto una lettera minatoria e da lì ho costruito tutto, ovviamente amplificando gli aspetti negativi della vicenda all’ennesima potenza. Quando si scrive un romanzo, di qualunque genere si tratti, bisogna studiare e documentarsi molto. Il rischio di snaturare la realtà, e quindi di distorcerla, è grandissimo. Nel giallo e nel thriller in particolare, perché trattano di una serie di temi attuali e radicati nella cultura popolare. Si parte da una semplice indagine e si arriva a toccare argomenti più complessi come, nel mio caso, lo svolgimento di un’autopsia, di una perizia grafologica o l’analisi socio-comportamentale di un serial killer. Tralasciando i libri e i film, sentiamo parlare di omicidi ogni giorno sui quotidiani e in TV. Mi è capitato di leggere romanzi scritti benissimo, con una trama avvincente, un buon ritmo e personaggi ben caratterizzati, ma che in realtà peccavano di credibilità. Perciò, non nascondo che durante la stesura de “L’assassino senza volto” ho chiesto aiuto a dei professionisti, cercando di ridurre a zero il rischio di inserire parti dell’indagine discostanti dalla realtà.
Perché ha scelto di ambientare il romanzo proprio a Londra e non in Italia o in qualche altro luogo?
L’idea di base era ambientare “L’assassino senza volto” a Milano, ma durante un viaggio di qualche settimana a Londra ho cambiato idea. Mi sono innamorato alla follia di quella città, dei modi di fare delle persone, del cibo, delle tradizioni e quindi ho voluto omaggiarla. C’è una regola “non scritta” che suggerisce agli autori di ambientare le proprie storie in luoghi che si conoscono, per il semplice fatto di evitare errori sull’ambientazione, sugli usi e i costumi dei personaggi e sulla cultura di massa in generale. In effetti, il rischio di scrivere castronerie è alto. Nel mio caso, oltre ad aver visitato personalmente la gran parte dei luoghi che ho citato nella storia, ho ricevuto un preziosissimo aiuto da James, un caro amico di vecchia data, nato e cresciuto a Londra, il quale mi ha davvero salvato la vita. Grazie a lui e a suo padre (che ha lavorato per diverso tempo come agente di polizia in Inghilterra) ho scoperto e imparato molto delle abitudini dei londinesi, dei modi di fare, della cultura, degli usi e costumi, ma non solo. Mi hanno dato informazioni sul sistema scolastico inglese — completamente diverso dal nostro — e sullo svolgimento delle indagini del Metropolitan Police Service. Senza di loro, avrei fatto molta più fatica a scrivere questo romanzo. Ovviamente, “L’assassino senza volto”, pur avendo una connotazione reale, è tratto dalla mia fantasia e dalle mie suggestioni. Mi sono preso delle libertà narrative, sociali e culturali. Ci sono parti del romanzo, quali luoghi, personaggi, abitudini e modi di fare dei protagonisti che ho volontariamente distorto, utilizzando il mio immaginario per raccontare dei passaggi funzionali alla storia e renderli più comprensibili al lettore, sempre rispettando il caposaldo della veridicità d’informazione.
Perciò, ambientare la storia a Londra è stato un azzardo e una fatica incredibile, ma lo rifarei altre mille volte.
Ha mai pensato a una probabile trasposizione della sua opera sul grande schermo? Ha immaginato un ipotetico cast o regista?
E come no. Sognare non costa nulla. Qualunque autore vorrebbe vedere una trasposizione cinematografica della propria opera sul grande schermo. Tuttavia, preferisco pensare alla realtà e concentrarmi sulla promozione e sulla diffusione del romanzo. Mi reputo molto fortunato e orgoglioso anche solo di aver pubblicato “L’assassino senza volto” con un editore serio e professionale come Libromania, che è un marchio di narrativa di DeA Planeta Libri. Mi hanno accolto in questa grande famiglia fin da subito, aiutandomi a migliorare il romanzo in tutti i suoi aspetti e donandogli una copertina bellissima. Spero che possa soddisfare tutte le aspettative dei lettori che gli daranno un’opportunità e che si possa innescare un vero e proprio passaparola.
Tornando alla domanda iniziale, se dovessi pensare in grande, vorrei che “L’assassino senza volto”, pur essendo ambientato a Londra, abbia cast e regia italiani. Il nostro Paese vanta un’incredibile storia cineasta e ha ispirato il mondo intero con la propria arte. Basti pensare a Vittorio De Sica, Federico Fellini, Alberto Sordi, Marcello Mastroianni, Sophia Loren, ma anche agli attuali Roberto Benigni, Giancarlo Giannini, Toni Servillo, Monica Bellucci. La lista è lunghissima ed è impossibile citarli tutti. Mi piacciono molto i film di Luca Guadagnino. Il cast? Giannini lo vedrei nel ruolo di Edward Scott, Favino nel ruolo di Mark Forks e Giovanna Mezzogiorno sarebbe perfetta per interpretare Susan O’Donnell.
Lei è giovanissimo, ha 27 anni. Pensa ci sia pregiudizio in merito all’età legato al suo mestiere? Ha riscontrato ostacoli al riguardo?
Sì e no. Forse per i più bigotti. Probabilmente alcuni sono ancora legati alla figura dello scrittore anziano che scrive e legge testi su una scrivania impolverata e si fa luce con una candela. Alcuni “esperti” mi hanno consigliato di pubblicare con un nome d’arte (e se possibile straniero — perché “attira” di più) e di non espormi in prima persona, perché, a loro modo di vedere le cose, sarei risultato inopportuno. Il perché dovreste chiederlo a loro. Per quanto mi riguarda, penso che una persona non smetta mai di imparare, qualsiasi mestiere faccia, scrittore compreso. Io non mi reputo uno scrittore, bensì un autore che spera che la sua opera possa essere apprezzata dalle persone che le daranno un’opportunità. A mio avviso, la scrittura è un po’ come il vino: più matura, più è piacevole. D’altro canto, ci sono scrittori bravissimi molto giovani e con ottime prospettive di miglioramento e scrittori affermati che non hanno mai fatto un vero e proprio salto di qualità. Dipende da caso a caso, da persona a persona. Sicuramente, un giovane autore è più soggetto a pregiudizi e crea più curiosità nei lettori.
Cosa pensa dello scenario editoriale italiano? É un mondo arduo a cui accedere? Pensa ci siano più possibilità fuori dai nostri confini?
Be’, sicuramente l’offerta è nettamente superiore alla domanda. Leggevo un articolo che diceva che in Italia si stampano troppi libri. Detto in soldoni: si pubblicano molti più romanzi di quelli che vengono richiesti. Le cause? Abitiamo in un Paese dove pochi leggono, ma tutti vogliono diventare scrittori. Questo fa strano ed è atipico. La scrittura, a mio avviso, dovrebbe essere una conseguenza della lettura e non il contrario. Prima di scrivere, bisognerebbe imparare a leggere con consapevolezza. Forse il problema sta proprio nel concetto di “lettura” che ci viene impresso fin dalla nascita. Forse la lettura per molti è considerata un’inutile perdita di tempo. Forse il problema è correlato alla diffusione sempre più assidua dei social network e di altri strumenti di distrazione. Se poi pensiamo che nel panorama editoriale italiano sono sempre più diffusi i fenomeni di self publishing sponsorizzati da diverse piattaforme online e editori che chiedono compensi economici o l’auto-acquisto di copie per essere pubblicati, buttando libri spazzatura sul mercato, diventa più complicato per un lettore individuare una serie di opere che potrebbero soddisfarlo. Credo che questi siano i motivi che spingano la maggior parte degli editori italiani a essere molto scrupolosa nella selezione dei romanzi. L’editoria, a mio avviso, è un mondo a sé, fatto di agenzie letterarie, case editrici, contatti, proposte. Se non lo si conosce, o comunque non si impara ad accettarlo per quello che è, si potrebbe finire col rimanere delusi. Ho ricevuto dei no, come tutti, ma non mi sono dato per vinto.
Rispondendo alla sua domanda, è difficile pubblicare con le principali case editrici del panorama italiano, seppur siano sempre alla ricerca di nuove penne. In ogni caso, sono certo che chi ha talento, prima o poi, riuscirà a vedere la propria opera sugli scaffali delle librerie. Fuori dall’Italia, probabilmente, ci sono più possibilità soprattutto per chi pubblica romanzi tramite self publishing.
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C’è qualche influenza letteraria (o artistica in generale) che l’ha ispirata particolarmente o qualcuno di cui apprezzerebbe seguire le orme?
Il mio autore preferito è Donato Carrisi e credo che lui sia l’esempio più lampante che non esistono confini per la buona scrittura. E non solo. È fenomenale anche come regista. Inoltre, apprezzo quasi tutti i giallisti targati Sellerio: Malvadi, Manzini, Carofiglio, tra tutti. Ci sono molti scrittori stranieri che leggo volentieri: Wulf Dorn, Michel Bussi, Glenn Cooper e l’intramontabile Stephen King.
Come si vede da qui a 10 anni, lavorativamente parlando?
Come ho già detto, preferisco guardare al presente. Mi sto concentrando sulla sponsorizzazione de “L’assassino senza volto” e nel mentre sto lavorando per un nuovo progetto.
Consigli al pubblico: perché dovrebbe leggere “L’assassino senza volto”?
Se siete alla ricerca di un thriller carico di suspense e con un’indagine intricata, allora “L’assassino senza volto” è il romanzo che fa per voi. È una lettura molto veloce, con un ritmo di narrazione serrato e repentini cambi di prospettiva, che portano il lettore a immedesimarsi nella mente dei personaggi e — infine — in quella dell’assassino. Leggendolo si capisce il perché. Sembra scontato per un thriller, ma è bene puntualizzare che la morte è un elemento molto presente. La morte in senso lato, inteso come la risoluzione dei problemi e delle difficoltà che la vita terrena ci pone. Ma anche l’amore, in un certo qual modo, è un elemento di spicco.
Se avete voglia di leggerlo, lo trovate su Amazon, IBS e nei principali store online. Dal 28 settembre si troverà fisicamente in tutte le librerie. Sto organizzando con la casa editrice una serie di eventi di presentazione e firmacopie.
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