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Esteri

COP26: quali sono i risultati a una settimana dall’apertura del vertice?

Ecco i nuovi impegni dei Grandi della Terra una settimana dall’avvio alla COP26 lo scorso lunedì 1 novembre a Glasgow.

Il premier britannico Boris Johnson (Getty Images)

La COP26 si è aperta lo scorso lunedì 1 novembre a Glasgow. Dal discorso della nuova mascotte dell’Unione Europea Frankie, il dinosauro parlante, all’accesissima ondata di mobilitazione nella città della Scozia; la speranza negli occhi dell’opinione pubblica è sempre la stessa. Conferenza sul clima? Misure pragmatiche, più che “bei dicorsi“. Affinché il summit intergovernativo non tramuti nell’ennesimo “festival del greenwashing“, ai “bla bla bla” dei Grandi della Terra devono seguire azioni concrete e mirate.

Dalle bacchettate della giovane attivista Greta Thunberg dal palco di Glasgow, di fronte alle promesse non mantenute e agli impegni troppo vaghi da parte dei Paesi coinvolti, il malcontento ha progressivamente coinvolto e riunito giovani e adulti di diverse nazionalità. Quali sono gli sforzi messi a tavolino dalla comunità internazionale a una settimana dall’inizio dei negoziati? Scopriamoli insieme.

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Lo aveva già annunciato il presidente della COP26 prima dell’inizio del vertice: sarà più difficile raggiungere un accordo quest’anno a Glasgow rispetto alla COP21 del 2015, culminata con la firma dell’Accordo di Parigi sul clima. Nonostante le ambiziose promesse del 2015, in particolare quella di limitare l’aumento della temperatura terrestre non oltre la soglia limite dei 1,5°C entro il 2100, gli impegni presi prima del nuovo vertice dai leader internazionali sono al momento troppo deboli per raggiungere gli obiettivi prefissati. Ecco i nuovi impegni fissati dall’inizio del vertice dagli Stati partecipanti alla COP26.

  • Verso la Carbon Neurality: lo scorso giovedì (4 novembre) circa 40 paesi si sono impegnati ad abbandonare il carbone entro il 2030 per i paesi sviluppati ed entro il 2040 per i paesi più poveri. Tra i firmatari di questo accordo, alcuni dei maggiori consumatori al mondo: Canada, Ucraina, Cile, Vietnam, ma anche Polonia. Firmando, questi Paesi si impegnano a non finanziare più nuove centrali di carbone, né sul loro territorio né a livello internazionale, e ad adottare politiche indirizzate alle energie rinnovabili. Si tratta di un annuncio importante a livello globale, dato che il carbone è al primo posto nella classifica dei principali responsabili del riscaldamento globale. Tuttavia, a questo accordo non hanno preso parte i pesi massimi del consumo mondiale di carbone, ossia Stati Uniti, Cina, India, Giappone e persino Australia.
  • Limitazione delle emissioni di metano: sono 105 i Paesi impegnati in un “patto globale del metano” per limitare le proprie emissioni di gas serra di almeno il 30% entro il 2030. Tra questi Paese si contano Canada, Giappone e Stati Uniti, Unione Europea e Brasile, che rappresentano circa il 40% del emissioni globali di metano; ma non Cina, Russia e Australia, gli altri colossi del metano. Il metano è il secondo gas a effetto serra più abbondante correlato all’attività umana dopo l’anidride carbonica. Viene emesso in particolare dall’industria agricola e zootecnica, dai combustibili fossili e dai rifiuti. Sebbene se ne parli molto meno, il metano ha un effetto devastante sull’ambiente, con un potenziale climalterante tra le 20 e le 30 volte superiore a quello della CO2.
  • Riduzione delle deforestazioni: per frenare la piaga della deforestazione, azione deplorevole che oltre a tagliare i polmoni verdi del Pianeta contribuisce al riscaldamento globale e di conseguenza al cambiamento climatico, un centinaio di paesi che ospitano oltre l’85% delle foreste mondiali, compreso il Brasile con la foresta pluviale amazzonica, il Canada e la sua foresta boreale, o anche la foresta pluviale nel bacino del Congo, si impegnano a preservare i loro ecosistemi. Gli sforzi uniscono anche Stati Uniti, Francia, Cina e Australia, il cui accordo firma la fine della deforestazione entro il 2030. L’ambiziosa iniziativa beneficerà di stanziamenti pubblici e privati di oltre 19 miliardi di dollari (oltre 16 miliardi di euro).

Se da una parte Boris Johnson ha espresso pieno ottimismo ed entusiamo per la maturazione internazionale visibile nei vari accordi raggiunti dai partecipanti alla COP26; dall’altra parte c’è chi guarda alla questione climatica con estremo realismo: la lotta al cambiamento è tutt’altro che vinta.

La siccità, uno dei grandi problemi del riscaldamento globale (Getty Images)

Siamo alla COP26, stiamo discutendo da oltre un quarto di secolo. Abbiamo fatto progressi, ma non abbastanza velocemente.” – ha affermato il capo dell’Ambiente delle Nazioni Unite Inger Andersen a una settimana dal summit intergovernativo – “Sappiamo da molto tempo che dobbiamo agire, conosciamo le soluzioni da molto tempo  […] e abbiamo visto cambiamenti, ma dobbiamo accelerare.”

Fonte The Guardian

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