Continuano le manifestazioni contro il governo del primo ministro Manasseh Sogavare: tre cadaveri a Honiara, la capitale.
#Salomon
Violent protests are shaking the island, which has descended into chaos. People are demanding the resignation of the premier as clashes intensify, several buildings have been set on fire Australia has sent military peacekeepers to the island
Source @SputnikInt pic.twitter.com/nykl8fOLAT— Informazione Alternativa (@InformazioneA) November 25, 2021
Dopo diversi giorni di violenze e sommosse, le Isole Salomone piangono le loro prime vittime. Almeno tre persone hanno perso la vita a Honiara, la capitale dell’arcipelago dell’oceano Pacifico meridionale. Stando a quanto si apprende dalle fonti ufficiali della polizia, tre corpi carbonizzati sono stati rinvenuti lo scorso venerdì sera (26 novembre) in un negozio a nel quartiere Chinatown, sull’isola di Guadalcanal. Sconosciute cause e circostanze della loro morte; in merito, le autorità hanno annunciato l’avvio all’inchiesta per ulteriori accertamenti.
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Rivolte Anti-Pechino: tre giorni consecutivi di scontri
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Si tratta delle prime vittime dall’inizio delle proteste, scoppiate lo scorso mercoledì (24 novembre). Gli scontri si protraggono ormai da giorni: la folla indistinta grida il dissenso contro il governo del primo ministro Manasseh Sogavare. Il bilancio di tre giorni consecutivi di disordini e violenza è davvero drammatico. Stando a quanto si legge nei media locali sono almeno 56 gli edifici nella capitale che sono stati bruciati, distrutti o saccheggiati; compresa una stazione di polizia.
I danni sono ingenti e si estendono a centinaia di piccole imprese, abitazioni e negozi. Per ora si contano più di cento arresti. Secondo le stime della Central Bank of the Solomon Islands al momento si parla di una perdita di almeno 28 milioni di euro.
La situazione a Honiara è fuori controllo e da venerdì sera è entrato in vigore il coprifuoco notturno per tenere ben salde le redini della quiete pubblica. Nonostante l’intervento delle forze dell’ordine australiane per riportare la calma sul territorio; la tensione sociale ed etnica resta alta e la maggior parte delle strade è ancora ostruita dalle macerie. Oltre al malcontento popolare nei confronti dell’esecutivo a causa di promesse mai mantenute, all’origine delle violenti proteste vi sarebbero i tagli delle relazioni formali tra il governo locale e Taiwan a favore del nuovo percorso con Pechino. La decisione diplomatica, presa nel 2019, è stata definita una mossa “estremamente deplorevole” da Taipei.
La rivolta popolare potrebbe trasformarsi a breve in una crisi politica senza precedenti. Questo sabato (28 novembre), i leader dell’opposizione hanno chiesto un voto di sfiducia contro il governo di Manasseh Sogavare.