La politica birmana, premio Nobel per la Pace nel 1991, è stata giudicata colpevole di importazione illegale di walkie-talkie.
Ennesima sconfitta per la democrazia in Birmania: Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la Pace nel 1991, ha subito l’ennesima morsa giudiziaria: l’ex leader democratica è stata condannata a quattro anni di carcere perché considerata colpevole di importazione illegale di walkie-talkie. A riportare l’informazione è una fonte vicina al caso. La notizia trova conferma nei principali media internazionali. Stando a quanto si legge nei principali notiziari, la politica birmana, ai domiciliari a partire dal golpe del primo febbraio 2021 da parte dell’esercito, era già stata condannata il mese scorso a quattro anni di reclusione per violazione delle norme di sicurezza anti-Covid; la sua pena è stata in seguito ridotta a due anni dalla giunta locale.
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Nuova condanna per Aung San Suu Kyi:
ennesimo attacco alla democrazia
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Nuova condanna per Aung San Suu Kyi. L’ex leader democratica (Lega Nazionale per la Democrazia – NLD) è stata condannata questo lunedì, 10 gennaio, a quattro anni di carcere, in una parte di un processo in cui rischia decenni di detenzione. La notizia è stata confermata dalle autorità competenti del Paese. La politica birmana, nota soprattutto per il suo impegno e attivismo in difesa dei diritti umani, era già stata condannata a dicembre dello scorso anno a quattro anni di reclusione, in seguito ridotti a due dalla giunta locale, per inosservanza delle restrizioni legate al coronavirus.
Il Premio Nobel per la Pace del 1991 si trova agli arresti domiciliari a partire dal Colpo di Stato che, da quel primo febbraio 2020, ha sconvolto l’intero equilibrio sociopolitico nazionale. Stando a quanto si apprende dai media internazionali, la donna è stata più volte incriminata dalla giunta negli ultimi mesi. Tra i principali capi di accusa si legge sedizione, corruzione, istigazione ai disordini pubblici e brogli elettorali. Il suo processo, avviato in un tribunale appositamente istituito nella capitale Naypyidaw, si è aperto insieme a quello di altri suoi fedeli compagni; tra questi anche l’ex Presidente della Repubblica Win Myint, arrestato anche lui il giorno del golpe.
“Tutti sono consapevoli della falsità di queste accuse – ha precisato Manny Maung, ricercatore dell’ONG Human Rights Watch. – I soldati usano la tattica della paura per assicurare la sua detenzione arbitraria.” Si tratta dell’ennesima oppressione dell’opposizione, una nuova sentenza che “rischia di accendere ulteriormente la rabbia della popolazione birmana.”
Dal Colpo di Stato, il primo febbraio 2021, il Paese è stato scosso da un’escalation di violenze, culminate nella maggior parte dei casi in tragedie. Secondo le stime ufficiali sono almeno 1.400 i civili uccisi negli scontri armati con le forze di sicurezza e le milizie birmane.
Secondo quanto ha dichiarato l’Alto commissario delle Nazioni Unite Michelle Bachelet, si contano almeno 175 persone, tra cui molti membri del suo partito di NLD, morte durante il periodo di detenzione, “molto probabilmente a causa di maltrattamenti o altri atti di tortura.”
Fonte The Guardian