Forti sanzioni e pressante censura: la dura realtà del popolo russo, piegato alla volontà di denazificazione monopolistica di Mosca.
Non c’è solo la tragedia in Ucraina. Accanto alla disperazione della comunità ucraina, devastata dai crimini di guerra ordinati dal presidente russo Vladimir Putin, c’è anche la crisi di un popolo sempre più isolato dal mondo, imbavagliato dalla censura e appesantito dalle sanzioni economiche che gravitano sul Paese a causa della cieca volontà monopolistica di Mosca sul suo ex paese satellite.
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Dietro all’affilata repressione della libertà di espressione e del pluralismo informativo si cela l’intento manipolatorio-calcolatore del Cremlino: ottenere il consenso del popolo facendo leva su abili strategie di propaganda fondate sul nazionalismo e sull’orgoglio della storia della Russia e del suo popolo, sempre più lontano dalla realtà fisica e virtuale; bloccato in una bolla di disillusa disinformazione.
Dall’attivismo del dissidente numero uno del Cremlino, Alexei Navalny, alle manifestazioni in piazza fino all’ultimo grido di rivolta in diretta televisiva, quello della giornalista Marina Ovsyannikova: ogni forma rivoluzionaria, singola o di massa, di opposizione e dissenso è destinata a morire nel più crudo e violento taglio della censura senza distinzioni. Donne, bambini anziani: con riferimento alle proteste nelle singole città della Federazione Russa si stimano oltre 14.250 arresti finora.
Se una parte del popolo si ribella; la restante è incantata dalla propaganda di Mosca, che giustifica la sua minaccia geopolitica facendo leva sulla demilitarizzazione e sulla denazificazione dell’Ucraina. Più volte il leader del Cremlino ha puntato a colpire l’animo dell’opinione pubblica tirando in gioco la storia, il nazionalismo e l’orgoglio del suo popolo. Tale visione non è nuova. La strategia propagandistica che guarda all’Ucraina come uno stato fantoccio governato da “drogati” e “nazisti” è diffusa da decenni, nonostante sia indubbia la fede ebraica del presidente Volodymyr Zelensky e della perdita di alcuni suoi familiari durante la Shoah.
L’argomentazione che definisce Kyiv un regime di “neonazisti banderisti”, dal fondatore dell’UPA (Esercito insurrezionale ucraino) Stepan Bandera, assassinato dal KGB (Комитет государственной безопасности – servizi segreti dell’Unione Sovietica) nel lontano 1959 a Monaco di Baviera, si è intensificata negli ultimi anni, specialmente con la scintilla del Donbass. L’argomentazione è ancora oggi più viva che mai e si aggrappa alla proclamazione e al riconoscimnto dell’indipendenza delle Repubbliche separatiste filo-russe di Donetsk e Lugans.
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