Isterectomia forzata per aumentare l’efficienza delle lavoratrici all’interno dei campi: la violenza sui corpi femminili non è una novità nel Paese.
Un utero in cambio della sopravvivenza economica: così funziona la legge della produttività in India. La violenza, l’isterectomia forzata, non è una novità sul territorio nazionale: da diversi anni numerose donne sono costrette alla rimozione forzata dell’utero per essere più produttive durante le loro ore di servizio nei campi.
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L’agghiacciante notizia arriva dalla regione di Beed, in India, dove le donne sono costrette a subire un’isterectomia, vale a dire l’asportazione dell’utero, per poter continuare a lavorare senza difficoltà in termini di orari di lavoro nei campi di canna da zucchero.
Le donne indiane tra povertà e sfruttamento del sistema misogino
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La dura realtà dell’isterectomia è molto diffusa nel Paese; specialmente nello stato del Maharashtra, dove le lavoratrici sono costrette a stravolgere la natura dei loro corpi per non perdere il lavoro e continuare a essere al servizio di un sistema misogino basato sullo sfruttamento del singolo e della collettività. Le donne che lavorano nei campi di canna da zucchero non hanno altra scelta che farsi rimuovere l’utero per continuare a lavorare e guadagnarsi da vivere. In generale, la qualità della vita delle vittime dei chirurghi senza scrupoli è deplorevole: secondo quanto riportano i principali media internazionali, le lavoratrici indiane si ritrovano in tende senza acqua e senza luce per l’intero periodo dedicato al raccolto (all’incirca sei mesi).
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L’isterectomia arriva su suggerimento dei cosiddetti “mukadam“, funzionari adibiti al monitoraggio della prestazione di lavoratori e lavoratrici nei campi. Questi suggeriscono la pratica della rimozione forzata dell’utero per eliminare quella potenziale settimana di inattività sul campo dovuta al ciclo mestruale e ai suoi effetti tanto indesiderati quanto naturali; nella regione di Beed, principale area di coltivazione e raccolto di zucchero di canna, il 36% delle donne lavoratrici hanno subito l’intervento per aumentare il livello di produttività agricola nei campi.
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L’elevato numero di donne sottoposte all’isterectomia, presentata come regolare operazione preventiva per eliminare il rischio di sviluppo di cancro o tumore alla cervice, dimostra appieno il sistema misogino del Paese, basato su sfruttamento dei corpi femminili. Nei campi indiani non c’è spazio per il dolore e per la fatica; la produttività nei campi, e di conseguenza nel Paese, diventa il principio primo dell’intera nazione.
Per mantenere il lavoro, donne giovani, adulte e anziane cedono e pagano il prezzo del loro corpo per continuare a guadagnarsi da vivere. Le statistiche ufficiali affermano che una donna su tre si è sottoposta all’isterectomia: l’età vacilla dai 20 ai 30 anni. I loro corpi, privati della loro natura, risultano tuttavia invecchiati di almeno dieci anni anni: l’intervento provoca una menopausa prematura, interrompendo definitivamente la produzione ormonale.
I datori di lavoro insistono sul carattere volontario dell’operazione: sarebbero proprio le lavoratrici agricole a volersi operare; ma la realtà del Paese è un’altra. La conferma arriva dalle testimonianze dei residenti locali: il guadagno di una coppia si aggira intorno alle 250 rupie ogni tonnellata di canna da zucchero. Un’intera stagione apporta un raccolto pari a 3/4 tonnellate. Di fronte a una retribuzione inconsistente, lavoratori e lavoratrici agricoli non possono permettersi di assentarsi un solo giorno nei campi: non esiste e non deve esserci spazio per il riposo, per il dolore, per la fatica.
Fonte Agi