Sono stati condotti studi sugli effetti dell’inquinamento da microplastiche anche nelle zone più remote del pianeta.
Già nel 2018 con la spedizione di Frida Bengtsson della campagna di Greenpeace per la protezione dell’Antartico si era giunti alla conclusione che, persino in quelle terre remote era tangibile ciò che l’uomo aveva lasciato al suo passaggio.
“Risultati mostrano che anche le zone più remote dell’Antartide sono contaminate dalla microplastica e da sostanze chimiche pericolose“, dichiarava Frida Bengtsson, e le analisi di Greenpeace documentavano anche la presenza di sostanze contaminanti come i PFAS (sostanze perfluoroalchiliche), oltre a microplastiche e ad ogni genere di rifiuto dell’industria ittica, come boe, reti e teloni.
Nel 2019 lo studio condotto da una ricercatrice di Canterbury, Alex Alves, la quale ha analizzato 19 campioni di manto nevoso prelevati durante una spedizione scientifica. Secondo la sua ricerca erano presenti 29 particelle di microplastiche per ogni litro di neve sciolta, probabilmente portate dai venti. Fino a quel momento si pensava che l’inquinamento di microplastiche non avesse ancora raggiunto zone così poco popolate, ma la ricerca ha mostrato ben altri risultati.
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“Abbiamo raccolto – spiega Alves, come riporta il sito di Rinnovabili.it – campioni di neve da 19 siti nella regione dell’Isola di Ross in Antartide e abbiamo trovato microplastiche in tutti quanti”. E’ stato, inoltre, appurato che l’inquinamento da microplastiche aumenta di molto nelle zone in cui vi sono insediamenti umani.
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Altri ricercatori, di recente, tra cui Gabriel Erni Cassola e Kevin Leuenberger, dell’Università di Basilea hanno confermato che, nelle acque dell’Antartico, si trovano microparticelle di plastica riconducibili, soprattutto, a quella più conosciuta: la Pet, oltre alla vernice rilasciata dalle barche rompighiaccio o agli abiti di chi soggiorna in quei luoghi. Tuttavia i loro studi risultano ancora incompleti, in quanto si trovano attualmente a bordo della rompighiaccio tedesca Polarstern (Stella Polare) e, devono quindi attendere di tornare sulla terra ferma per terminare i loro studi. Il comportamento umano, ancora una volta, la fa da padrone sull’impatto ambientale.
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