Caso drammatico causato dalla volontà di approfittare di una situazione economica molto vantaggiosa. Ragazzo in carcere
Un caso tragico che ha visto la morte di due genitori. Si tratta di un caso noto anche come Caso Maso e “delitto di Montecchia di Crosara”, un parricidio in piena regola. E’ accaduto in provincia di Verona, a Montecchia di Crosata il 19 aprile 1991 quando un ragazzo di 19 anni armato ha ucciso il padre nella notte, colpendolo con un tubo di ferro.
Aiutato da tre amici, Paolo Maso di anni 19 e i suoi complici uccise la famiglia per appropriarsi dell’eredità. Il rapporto con i genitori non era così semplice: discussioni ricorrenti in famiglia legate soprattutto alle frequentazioni del ragazzo. L’idea originale del ragazzo era di distruggere la casa ma il piano saltò a causa delle scoperte della madre di Pietro, Maria Rosa.
Poco prima del colpo che ha portato la morte della famiglia la madre di Pietro, Maria Rosa, aveva trovato nella taverna di casa due bombole di gas con una centralina di luci psichedeliche e una sveglia puntata alle 9:30, praticamente poco prima della scoperta.
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Successivamente aveva trovato anche un cuscino che ostruiva il camino. L’idea era proprio di far saltare in aria l’appartamento. Un tentativo fallito che viene riproposto nei giorni successivi. Pochi giorni prima del delitto Maria Rosa trova delle banconote nella tasca dei pantaloni del figlio Pietro che si era appena licenziato dall’autosalone in cui lavorava. Il neo maggiorenne tenta più volte e con più escamotage di uccidere la madre ma il coraggio viene sempre meno.
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Il quarto episodio è quello definitivo, l’uccisione del padre e della madre. Il delitto avviene di notte quando Pietro Maso e i suoi amici decidono di mettere in piedi l’omicidio. I genitori di Pietro tornano a casa alle 23:10 e mentre salgono le scale per entrare nell’appartamento il figlio si scaglia contro il padre con un tubo di ferro. Maria Rosa non muore sul colpo e viene soffocata con un sacchetto di nylon. L’agonia dura 53 minuti quando i due genitori smettono definitivamente di respirare.
Per Pietro Maso viene definita una condanna a 30 anni di carcere ma nel 2013 è di nuovo libero. L’infermità mentale data al ragazzo lo costringe nel 2016 a tornare in una clinica psichiatrica. Per gli altri complici del delitto, Giorgio Carbognin e Paolo Cavazza è stata inflitta una pena di 26 anni, mentre al minorenne Damiano Burata, una pena di 13 anni. Un delitto efferato, causato da un rapporto malsano tra genitori e figli che ha portato a compiere dei gesti inappropriati e violenti. Il ragazzo confessò l’omicidio dopo due giorni, dopo ore di interrogatori e l’emergere di mezze verità. Si trattò di un duplice omicidio volontario premeditato pluriaggravato. I tre complici killer del Caso Maso si presentarono sempre distaccati, freddi e lontani dalle accuse che pendevano sulla loro pelle.
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