La rivoluzione sociale attraverso l’innovazione linguistica: il dizionario Treccani ha inserito i nuovi lemmi al femminile singolare.
Vietato storcere il naso: da oggi “medica”, “notaia”, “architetta”, “avvocata” entrano nel vocabolario. La lessicografia italiana, da sempre spiccatamente androcentrica, inizia finalmente a sganciarsi dal comfort morfologico della declinazione maschile come unico standard rappresentativo.
Il primo a accogliere l’innovazione linguistica è la Treccani, che presenterà in anteprima la versione aggiornata del dizionario questo venerdì 16 settembre in occasione della XXIII edizione di Pordenonelegge, Festa del Libro con gli Autori.
La rivoluzione della lingua, però, non si ferma su carta; è lo specchio di un mondo che cambia: il mutamento linguistico è difatti espressione della presa di consapevolezza collettiva nei confronti di un vivo problema di natura sociale sentito dalla comunità internazionale.
Attraverso la lente della Treccani le professioni declinate al femminile avranno pari peso linguistico, e si spera anche equo riflesso sociale, dei lavori declinati al maschile, come vuole lo standard della lingua italiana.
I nuovi lemmi al femminile singolare rappresentano la rivoluzione sociale che si concretizza anche attraverso l’uso del linguaggio.
Se si guarda al rapporto tra lingua e cultura e cultura e lingua, l’inscindibile binomio è specchio puro della stretta interconnessione delle due parti. Pertanto, il riconoscimento del femminile all’interno del vocabolario di base dell’italiano è molto più di una semplice conquista linguistica.
Professioni al femminile: non sono un capriccio linguistico
“Architetta”, “Notaia”, “Medica” e “Soldata” possono finalmente essere pronunciate senza dubbi e timori. Il primo dizionario a fare il grande passo è la Treccani con l’inserimento nella nuova versione del “Dizionario della lingua italiana” della morfologia femminile a nomi e aggettivi da sempre registrati esclusivamente nelle rispettive forme al maschile.
La rivoluzione di Treccani non solo svecchia la tradizione linguistica, ma dà luce e risolve un problema sociale attraverso le sue potenzialità d’azione nel settore. Il riconoscimento effettivo del pari valore linguistico delle declinazioni al femminile è un progetto ambizioso promotore della parità di genere, voce di un mutamento socioculturale in atto.
Identità e linguaggio: questione di genere
Una realtà conosciuta è una realtà ben compresa a livello semiotico: la conquista di significazione da parte di un segno (linguistico) equivale al suo effettivo inserimento all’interno della comune conoscenza del mondo.
Per essere interpretata, la realtà diventa costantemente oggetto a etichette del pensiero, rappresentazioni mentali condivise associate a sostantivi, predicati e aggettivi. Per tutte le nuove realtà senza nome, infatti, ci pensano i neologismi a renderle note attraverso segni che meglio si adattano alla loro identificazione.
Pertanto, anche nella sfera femminile la richiesta di una morfologia rappresentativa esclusiva è del tutto legittima; ma il problema, allora, è della lingua o della società?
Se si guarda all’inscindibile binomio menzionato in precedenza, la risposta si trova nell’interconnessione di entrambe: la svalutazione della donna è un male che si riflette anche nell’alta frequenza d’uso di un linguaggio totalmente spoglio di parità e diritti.
La svalutazione femminile standardizzata anche in superficie diventa una questione di genere linguistica ed è oggi un retaggio inaccettabile e non più condivisibile.
Se il linguaggio riflette e fissa il pensiero collettivo, il cambiamento linguistico diventa necessario di fronte alla condivisa necessità di cambiamento. Il mondo crea il linguaggio, ma è anche il linguaggio che plasma il mondo: una lingua più inclusiva è l’unico apertura possibile all’alterità come ricchezza.