Camminava per strada a Minervino di Lecce con il fidanzato quando è stata raggiunta dalla furia omicida dell’ex che l’ha uccisa senza pietà.
Lei è la sesta vittima del 2021, la prima di febbraio che ha visto però dopo di lei altre 7 donne ammazzate dai loro compagni.
Si chiamava Sonia Di Maggio, aveva 29 anni e la sera del 1° febbraio si trovava per strada a Minervino di Lecce con il compagno Francesco Damiano per andare a fare la spesa (lei era di Rimini mentre Damiano abitava nel Salento).
Improvvisamente è stata raggiunta dall’ex fidanzato, il 39enne campano Salvatore Carfora che l’ha uccisa brutalmente con 20 coltellate al collo e al busto.
Inutile l’aiuto di Damiano che prontamente si è scagliato contro l’aggressore per fermarlo. All’arrivo dei soccorsi i sanitari del 118 hanno trovato la giovane morta in una pozza di sangue.
La ragazza aveva avuto una relazione con l’assassino diversi anni prima ma si erano lasciati perché lui era aggressivo e possessivo nei suoi confronti.
Inoltre Carfora aveva già minacciato sia lei che il nuovo compagno ma Sonia non lo aveva denunciato per paura di ritorsioni.
Originario di Torre Annunziata (Napoli), l’uomo nel 2011 aveva già accoltellato un parcheggiatore abusivo nel suo paese e nel mese di giugno di quell’anno era anche stato dimesso dall’ospedale psichiatrico di Aversa.
La mattina del 2 febbraio l’uomo fu trovato dalla Polizia di Otranto in stazione dei treni mentre aspettava di tornare in Campania.
Il 5 febbraio l’uomo ha confessato pienamente il reato commesso, il giudice quindi ha disposto per lui il reato di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione e dallo stalking e la successiva custodia cautelare in carcere.
Al termine delle indagini sul caso gli era stata contestata dalla Procura di Lecce anche l’aggravante dei futili motivi.
Nel luglio del 2021 fu rimandato pertanto a giudizio immediato visto che Carfora ammise anche che se fosse uscito dal carcere avrebbe ucciso anche Francesco Damiano.
Il 15 febbraio 2022 la Corte d’Assise di Lecce lo ha condannò all’ergastolo con un anno di isolamento diurno.
Sentenza poi ribaltata il 22 settembre successivo dalla Corte d’Appelli che ha confermato le aggravanti della premeditazione, della crudeltà e dei futili motivi emessi in primo grado ma non ha approvato per lui la pena accessoria dell’isolamento di un anno richiesta.
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