Nuovi progressi nel campo delle neuroscienze: l’ultimo studio ha individuato l’archivio della paura in una nuova area cerebrale.
Felice notizia dal campo delle neuroscienze. La nuova conquista neuroscientifica ha come protagonista la paura. Contrariamente al pensiero comune, questa emozione ha una doppia valenza; pertanto, può definirsi al tempo stesso positiva e negativa.
La paura ha infatti importanza evolutiva ed è ancora oggi essenziale per la nostra sopravvivenza. Si tratta di un’emozione primaria di difesa innescata da una situazione considerata pericolosa.
Generalmente, la sua comparsa innesca una pronta risposta organica: la cosiddetta reazione primitiva di fight-or-flight, in italiano “combatti o fuggi”. Si tratta della reazione neuronale dell‘adrenalina, di cui è responsabile il sistema nervoso autonomo, che prepara l’organismo ad affrontare la situazione d’emergenza.
Compreso il linguaggio biochimico della paura, non dovrebbe sorprendere la notizia riportata dall’Ansa circa il recente studio sull’origine di tale emozione. Che il cervello sia sede principale della paura è infatti una verità incontrovertibile. La principale casa neuronale della paura finora conosciuta è l’amigdala: una piccola ghianda localizzata nel lobo temporale, davanti al più grande archivio delle nostre esperienze: l’ippocampo.
La sorprendente novità, però, riguarda la scoperta di una nuova area cerebrale coinvolta nelle dinamiche di questa emozione primaria di difesa. Stando alla recente conquista neuroscientifica riportata dall’Ansa, la paura non è confinata alla sola amigdala. La ricerca condotta dall’Universita’ della California a Riverside ha evidenziato il ruolo dell’ippocampo, quale archivio primario del ricordo pauroso.
In seguito, però, la traccia mnestica si avvia alla sua maturazione, distaccando definitivamente dall’ippocampo. Dall’esito dello studio è emerso il netto passaggio del ricordo negativo dal grande archivio verso l‘interno della corteccia prefrontale, sede dei cosiddetti neuroni della memoria: l’intera area era illuminata durante la fase sperimentale di richiamo dell’evento traumatico remoto sui topi da laboratorio.
Il fenomeno è stato spiegato nel dettaglio dal biologo e conduttore della ricerca Jun-Hyeong Cho. Stando alle sue esplicazioni, la memoria prefrontale è sede neuronale dei circuiti adibiti al rinforzo positivo di eventi traumatici negativi: è l’area dell’archiviazione permanente”. La nuova scoperta apre la strada alla cura dello stress post-traumatico: il prossimo passo del team di ricerca presieduto da Cho sarà verificare la possibile soppressione di tali ricordi attraverso l’indebolimento selettivo dei rispettivi circuiti neuronali.
Fonte Ansa
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